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Opinioni

GUERRE TRIBALI

FELICE MAGNANI - 16/12/2016

Il presepe in un barcone

Il presepe in un barcone

Mi sono chiesto più volte a cosa potesse servire un referendum costituzionale, tra l’altro molto costoso per le nostre casse, in uno dei momenti economicamente e finanziariamente più difficili della storia italiana, una storia tormentata da licenziamenti, mancanza di posti di lavoro, suicidi di imprenditori, chiusura di aziende, fallimenti bancari, fenomeni migratori incontrollati, corruzione, impennate delinquenziali, mancanza di sicurezza, stati di povertà, disorientamento e confusione.

Nel momento in cui sarebbe stato fondamentale avere il massimo della collaborazione e della coesione interna ci si è affrontati all’arma bianca su un argomento che per sua natura e per sua configurazione politica, storica, morale e sociale, avrebbe meritato ben altro terreno d’incontro/scontro e soprattutto ben altra partecipazione parlamentare, ampia quanto l’Assemblea costituente che nel lontano 1946 fu insediata per redigere il nostro testo costituzionale.

Mentre il paese cade sotto i colpi del terremoto, delle alluvioni, dei dissesti idrogeologici, di un lavoro che viene sistematicamente a mancare, mentre gli utenti bancari attendono di essere risarciti e ondate migratorie navigano senza meta tra giardini pubblici, stazioni e metropolitane in cerca di un posto dove appoggiare la loro povertà, mentre le periferie delle grandi città diventano luoghi di predazione delinquenziale e mentre il cittadino viene sistematicamente privato dei suoi diritti fondamentali, come il diritto alla casa, il popolo della rappresentanza politica ha gettato sul fuoco tutta la sua carica esplosiva per mettere consiglieri regionali e sindaci al posto di un congruo numero di senatori. Al potere si è tentato di sostituire un altro potere non meno potere del primo.

Mentre la gran parte del nostro paese lotta contro varie forme di prevaricazione e di isolamento democratico, una parte si è interessata a problematiche di natura squisitamente tecnica e giuridica in una forma molto parziale, come se la Costituzione fosse problema di una parte soltanto della nazione italiana. Il popolo è stato coinvolto suo malgrado in una diatriba uscita per incanto dal cappello di un governo che ha preferito scendere sul terreno dello scontro politico invece di potenziare la sua carica innovativa al servizio della società civile e dello stato.

Con quale risultato? Che la compagine governativa ne è uscita con le ossa rotte, dimostrando una visione piuttosto ridotta del suo orizzonte politico. È incredibile come la politica sia riuscita a fare quello che non avrebbe mai dovuto fare. Oggi siamo qui a ipotizzare un futuro.

C’è chi se ne va e chi resta, chi giura di amare il paese e chi si rivolta nella tomba non appena viene a sapere di come hanno trattato quella Costituzione italiana costruita con grandissimo impegno e amore subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Il risultato? Un’Italia sempre più divisa, sempre più sola, sempre meno capace di affrontare i grandi problemi che l’attendono, sempre più prigioniera di un’Europa che pensa poco o nulla agli altri e molto a se stessa, quell’Europa che si fa garante delle libertà costituzionali, ma che è pronta a fuggire o a erigere muri e barriere di filo spinato non appena si accorge che qualche disperato in cerca di vita bussa alle sue porte per essere accolto.

È l’Italia? L’Italia è sempre più confusa, sempre meno capace di prendere decisioni e così si affida al volontariato, alla volontà dei prefetti, a imposizioni verticistiche, a una ormai cronica incapacità di dare risposte chiare e precise a fenomeni che rischiano di alimentare pericolosi conflitti sociali. È un’Italia dominata ancora una volta dai conflitti di faide, partiti, movimenti, personaggi che invece di ricercare coesioni si affrontano in una pericolosissima lotta fratricida, aprendo le porte a varie forme di tracotanza, un’Italia che perde sistematicamente di vista i problemi, quelli veri, quelli che riguardano la gente comune con le sue povertà, le sue aspirazioni represse, la sua voglia di uscire una volta per tutte dalla tirannia dell’interesse privato, di un euro che invece di promuovere e unire crea divisione, lotta e conflitto.

Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere sa quanto sia difficile per i giovani di oggi trovare un posto di lavoro a tempo indeterminato, sa quanto sia difficile mettere su famiglia e pensare di avere figli senza far leva sulle casse materne e paterne, sa quanto sia triste vedere città e paesi diventare ostaggi di una delinquenza senza scrupoli, sa quanto sia terribile non poter uscire la sera per paura di essere derubati, rapinati, stuprati. Certo non è questo il paese che ci hanno consegnato i nostri patrioti risorgimentali, non è questo il paese per la difesa e la promozione del quale i nostri padri e i nostri nonni hanno sacrificato la vita durante due terribili guerre mondiali. Oggi il referendum si è consumato, le cose sono rimaste come prima, la macchina istituzionale sta affrontando i problemi di una crisi politica e mentre si raccolgono i cocci di una lotta all’ultimo sangue, le difficoltà incombono e rischiano di travolgere tutto.

Il fenomeno migratorio non ha un limite, uomini, donne e minori sfidano il mare per trovare l’Eldorado europeo, ma in molti casi la vita che li aspetta è peggio di quella che avevano lasciato. Essere schiavi in Africa o in Europa, cosa cambia? Dove sta la differenza? Forse per qualcuno la speranza s’incarna, ma la maggior parte vive una povertà ancora più terribile, quella che priva l’essere umano di una dignità, che lo costringe a strisciare per sopravvivere.

È finita l’epoca dei grandi rivoluzionari che promettevano pace e libertà, è finita l’epoca del miracolo economico, ne è iniziata un’altra dove le lotte tra poveri sono sempre più frequenti, dove i ricchi si preoccupano di continuare ad arricchirsi e dove non c’è più rispetto neppure per gli ammalati, per i sofferenti, per coloro che cercano un ultimo ritaglio di felicità prima di dire addio per sempre a un destino in molti casi ingiusto.

La vita è sempre meno amata, considerata, apprezzata e chi ha il compito di farla amare non ne ha più né la capacità né la forza. Dunque neppure l’alchimia digitale è riuscita a cambiare in meglio l’indole di una umanità sempre pronta a colpire, sempre attratta da prevaricazioni e trasgressioni. È in queste varie forme di disperazione che si colloca la speranza cristiana, quella di un Natale che ogni volta regala la speranza di essere migliori, di seguire una stella che ci riconduce accanto a Colui che nasce e muore per farci capire quanto sia bello e importante amare e sentirsi amati, quanto siano grandi i doni che abbiamo ricevuto e quanto siano passeggeri quegl’ idoli nei quali riponiamo il nostro desiderio di rinascita. La politica deve fare propria la grande lezione del Giubileo della Misericordia di papa Francesco, deve riappropriarsi della sua natura umana e cristiana, deve andare incontro all’uomo e ai suoi bisogni, deve trovare soluzioni adeguate perché la vita sia sempre un pochino più bella per tutti, in particolare per chi si sente schiacciato da un destino duro e implacabile.

Il grande passo dovrebbe essere quello dell’esempio, di un esempio capace di andare oltre i partiti, le consorterie, i movimenti, le caste, i muri, i poteri, capace di ridare dignità e identità a chi ne è stato privato. È con questo spirito che dovremmo andare incontro al Natale, lasciandoci guidare da chi, forse, vede più lontano di noi, riabilitando una speranza che in molti casi sembra perduta per sempre.

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