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Attualità

LA GIOIA E IL VOLGO

MANIGLIO BOTTI - 23/12/2016

sanremo-2017È cambiata l’Italia in quest’ultimo mezzo secolo? Cioè, è davvero cambiata nel carattere?

Non è una domanda peregrina. Nel giugno del ’68, in un memorabile libro appena dato alle stampe per i tipi di Laterza – Storia degli italiani –, il saggista di scuola comunista e marxistica Giuliano Procacci, mio conterraneo di Assisi, parlando dei funerali di Palmiro Togliatti, avvenuti quattro anni prima, diceva che al leader del Pci era toccato di morire sì, ancora nel pieno della sua lucidità politica “e della sua fermezza”, ma in un’Italia gaudente e volgare. L’Italia – aggiungiamo noi – cresciuta nelle sagre e nei festival, l’Italia delle autostrade e delle spiagge sempre gremite… Tutti al mare. Anche i governi dell’epoca.

Non vogliamo dare un giudizio di merito, del resto l’affermazione di Procacci attribuita in qualche maniera a Palmiro Togliatti risente di una concezione elitaria e aristocratica della vita e del paese, benché proveniente dai cosiddetti rappresentanti del proletariato. Qualche amico, con cui se ne parlava proprio in questi giorni, anch’egli critico attento, diceva per esempio che l’Italia, continua a essere “volgare”, come in quegli anni della metà dei Sessanta, ma molto meno “gaudente”.

Sarà forse così… La crisi economica che ci ha sconvolto, noi e il mondo, negli ultimi otto anni, e che non se ne vuole proprio andare, ha creato gravi fratture e disagi, specie tra le frange giovanili: molti autorevoli commentatori politici hanno rilevato quest’aspetto anche nell’esito del voto negativo in occasione del recente referendum sulla riforma istituzionale. Ma viene anche da pensare – viaggiando spesso sulle dorsali autostradali, frequentando bar, stadi e pizzerie, scorrendo i dati auditel della tv – che qualcosa di genuinamente e intrinsecamente godereccio nel nostro Bel Paese è rimasto. Che è un paese che ha come spina dorsale per lo più centinaia di migliaia dipendenti dello Stato e altrettanti pensionati (alcuni – ex – baby e alcuni addirittura d’oro) che la crisi l’hanno sempre un po’ vissuta di sguincio.

E poi volgare… Va beh, anche questo non è un giudizio di merito. Ma bisognerebbe ragionarci un po’ su. Passata la buriana dell’immediato dopoguerra, quando i valori di riferimento erano pochi e seri – la famiglia, la casa e il lavoro, il senso del dovere e il rimboccarsi le maniche –, siamo passati a concezioni dinamiche più vaghe.

Non si spiegherebbe altrimenti – dopo una consultazione elettorale referendaria tra le più (apparentemente) laceranti degli ultimi trent’anni in Italia, e passata all’insegna del “non cambiamento” o del “non cambiamento proposto” – il fatto che qualche giorno fa, in prima serata, il brillante presentatore tv Carlo Conti abbia presentato e letto con uno smagliante sorriso l’elenco dei prossimi cantanti partecipanti al Festival di Sanremo: nomi altisonanti e di rilievo, che però sarebbero potuti andare bene anche venticinque o trent’anni fa – come quelli di Al Bano, reduce da un lieve infarto, Ron (Rosalino Cellamare, prima presenza al Festival nel 1970), Marco Masini, Fiorella Mannoia, Paola Turci, Michele Zarrillo, Gigi D’Alessio, Giusy Ferreri ecc. ecc. –, o anche un po’ meno di rilievo, e ancora bisognosi (forse) di riscalare o scalare le salite del successo: Nesli e Alice Paba, Lodovica Comello, Elodie Di Patrizi, vincitrice dell’ultima edizione di Amici, i rapper Clementino e Raige, giusto così per mettere sulla pasta un po’ di cacio modernista.

Il Festival di Sanremo si svolgerà, nella Città dei Fiori, appunto, tra circa due mesi, da martedì 7 a sabato 11 febbraio. E l’Italia televisiva e no si fermerà come di consueto, Renzi a parte, Gentiloni a parte, e a parte anche Salvini e Grillo, che pure di Sanremo fu un tempo protagonista e rimarcabile presenza. Tutti in attesa del nome del nuovo vincitore (ma poi sarebbe più giusto dire della canzone vincitrice…). Ma ce li ricordiamo i nomi dei vincitori della scorsa edizione? Sanremo 2016, una decina di mesi fa? Eccoli: “Un giorno mi dirai”, degli Stadio, al primo posto; “Nessun grado di separazione”, cantata da Francesca Michielin, al secondo. Così, tanto per citare.

Dalle canzonette al cinema il passo è breve. Dall’Italia “gaudente e volgare” del 1964 – ma solo per ricordare: da lì a nove anni Federico Fellini avrebbe girato il suo Amarcord – a quella di oggi e ai suoi 7 (sette) “cinepanettoni”, altrove definiti “esilaranti commedie natalizie”, che ci terranno compagnia in questi giorni di feste di fine 2016 e d’inizio d’anno 2017: da Christian De Sica (Poveri ma ricchi) a Massimo Boldi (Natale al Sud), ormai irrimediabilmente separati, da Bisio e Alessandro Gassman (Non c’è più religione) a Aldo, Giovanni, Giacomo (Fuga da Reuma Park) ecc. ecc.

Tutto si può dire. Anche che si tratterà di film di un certo impegno. Ma siamo alquanto perplessi. L’Italia si fa seria, si divide, si insulta su un Sì o su un No. Ma poi quando si mette davanti alla tv per il Festival di Sanremo o quando – com’è tradizione – si va al cinema il giorno di Santo Stefano, tutti d’accordo. E tutti insieme.

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