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Opinioni

AMERICAN STRATEGY

FEDERICO SCHNEIDER - 10/02/2017

Dal film “La grande scommessa”

Dal film “La grande scommessa”

Ultimamente qui negli Stati Uniti si fa un gran parlare di “Disruptor in Chief” piuttosto che di “Commander in Chief”, come vuole la Costituzione di questo paese. Ovviamente mi riferisco alla serie di provvedimenti messi in atto dall’attuale presidente, nei primissimi giorni del suo mandato, e all’ondata di disapprovazione che stanno suscitando. Poi, però, c’è anche il Dow Jones che vola, e c’è  un interessante balletto tra Albione ‘fuggitiva” e Lady Liberty, all’ombra del busto di Winston Churchill, ricollocato nella Casa Bianca… . Il che dovrebbe spingere a qualche ulteriore riflessione, magari secondo una logica di potere, tanto per cambiare.

Non mi riferisco, però, a Canetti, e alla sua pur apprezzabilissima idea di un potere governato dalle pulsioni del crescere e del sopravvivere (Masse und Macht, 1960; Massa e potere, trad. it. 1972), bensì alle strategie emozionali del potere (e il grande Shakespeare del Riccardo III ne sapeva certo qualcosa). Qui dunque non interessa far risalire i recenti fatti della politica americana ad una causa prima, bensì individuare una strategia di potere, cui tali fatti possano essere ricondotti; una strategia che, con maestria psicologica sopraffina, sa far giocare nel popolo le emozioni necessarie per perpetuare il potere stesso, creando un ‘ordine nuovo’. Insomma mi riferisco al gattoprardesco “cambiare tutto perché tutto resti come prima”, secondo l’intuizione sul potere più geniale (e forse più fraintesa) della storia del pensiero moderno: ovvero che il potere non lo si capisce altro che attraverso le dinamiche mediante le quali esso perpetua sé stesso.

Forti (anche se debolmente) di questa consapevolezza si potrebbe allora incominciare a parlare di fatti che ormai “sono storia” (come si dice qui) in modo un po’ diverso e forse non inutile. Ad esempio, riguardo all’era Obama che si è appena conclusa,, si potrebbe notare quanto sapientemente si siano fatti giocare nel popolo americano i sentimenti di rabbia e riscossa covati per generazioni nei cuori degli afroamericani, per far scaturire dal popolo sovrano il primo presidente di colore del Paese. E bisognerebbe certo non tralasciare, sempre riguardo a tale esito, altri sentimenti non meno importanti, fatti giocare con eguale perizia: come, ad esempio, l’ossessione dell’americano caucasico di essere un razzista, e l’ansia parimente ossessiva di dimostrare che non lo è affatto. Infine non si tralasci la fede adamantina, pervasiva e trasversale (confessionale e laica) in un destino globale manifesto, di cui l’America, depositaria ‘provvidenziale’ di una “quarta religione”, secondo un noto libretto, è l’assoluta protagonista.

Ma ero partito da una riflessione su avvenimenti più recenti e quindi torniamo a noi. Qual è dunque la strategia di potere in atto oggi? Si potrebbe incominciare col notare quanto sapientemente si siano fatte giocare nel popolo americano altre emozioni forti: ad esempio, la rabbia e il relativo sentimento di riscossa di una middle class “cornuta e mazziata” (con rispetto parlando, è chiaro!). Mi riferisco innanzitutto alla famosa cosiddetta crisi del mercato immobiliare del 2008, magnificamente raccontata in un film recentissimo (e forse non è un caso) – La grande scommessa (2015); e soprattutto mi riferisco alla gestione della crisi stessa: una gestione che è stata un po’ come quella barzelletta. in cui in un girone dell’inferno immaginario ci sono i dannati, in piedi, immersi fino al collo nella cacca, ma solo fino a quando, dopo la fine della ricreazione, si devono mettere in ginocchio… . Altro non poteva certo essere sembrata, almeno ai più, un’azione politica che metteva in salvo ingorde banche e grosse imprese, e lasciava milioni di onesti cittadini del ceto medio senza neanche più una casa, oltre che senza un lavoro, a passare notti insonni o peggio. Sì, perché se per disgrazia si fossero addormentati, avrebbero sognato la madre di tutti i loro incubi: l’istantaneo sgretolarsi del totem di fronte al quale quel ceto sociale si era genuflesso (oltre che davanti al crocifisso di nostro Signore, ma questi sono i paradossi della storia), inseguendo con indicibili sforzi, per generazioni, il mitico sogno americano dell’abbondanza. Roba da suscitare emozioni così forti che una bomba H a confronto fa ridere! Ma noi italiani, che all’indomani del 2008 ci abbiamo rimesso qualche risparmio (e al massimo qualche posto di lavoro), e soprattutto che il sogno americano l’abbiamo visto soltanto in cartolina (e per fortuna!), che ne sappiamo di tutto ciò?

Non meno utile potrebbe essere, ai fini di questa breve riflessione, notare quanto nella recente campagna elettorale la retorica (che solo gli sciocchi ritengono inutile) sia stata perfettamente coerente con la particolare strategia di potere appena illustrata: in primis quel “make America great again” rimbalzato all’impazzata su media e social media, con cui ci si richiamava direttamente, e con uso sapiente della psicologia, proprio all’America della middle class che, come si diceva, “great” non lo è più da un bel po’ . Tutti ricordiamo il “nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria” del nostro poeta, no? Con l’unica differenza che il dolore storico della middle class, contrariamente a quello escatologico, fisso in eterno, della buona Francesca, si è prontamente trasformato in pungolo efficace. Specialmente grazie all’idea davvero geniale di cavalcare Hillary Clinton, vero e proprio (e per ovvi motivi) coltello rivoltato nella recente piaga, oltre che spauracchio (per motivi ugualmente ovvi) di un’altra, definitiva mazzata al già sgretolato sogno americano.

Ecco dunque come funziona la strategia di potere. E quel ceto medio colmo di desiderio di riscossa, nonché di fervorosa fede nella sua “quarta religione” – quella di una GerUSAlemme dagli enormi tacchini ripieni (altro che i pochi pani e pesci presentati a nostro Signore da un popolo straccione!) – è il suo possente (leggi anche produttivo) braccio destro. Ma i media continueranno ad occuparsi di un “Commander in Chief” o di un  “ Disruptor in Chief”.  Anche questo fa parte della strategia.

Un’ultima cosa. Al lettore frettoloso ricordo che qui non si intende ripetere ciò che tutti già sanno: cioè che la middle class “cornuta e mazziata”  è stata l’homo faber di questo nuovo capitolo della storia politica americana. Qui infatti si afferma qualcosa di molto meno ovvio: cioè che il faber è stata (è, e sarà) la strategia di potere.

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