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Attualità

AMORE RUBATO

SABRINA NAREZZI - 17/02/2017

Dacia Maraini

Dacia Maraini

Un tema di estrema e incessante attualità quello della violenza sulle donne. Ma come e dove dobbiamo cercare le radici di questa sterpaglia cresciuta nella nostra società e diffusa nell’ombra, al calore dei focolari “della porta accanto”? Innaffiata dall’insicurezza del maschio e dalla propensione salvifica della donna, questa pianta di sangue sta aggrovigliando con i suoi rami spinosi qualsiasi paese, nazione e livello socioculturale. La violenza sulle donne è assolutamente democratica. Non fa preferenze di ceto o cultura. Nessuna donna può dire: “A me non potrebbe capitare mai”; nessuno può sentirsi escluso dalla questione. La violenza sulle donne riguarda tutti.

Ad addentrarsi nelle anse della problematica è stata la scrittrice Dacia Maraini durante l’incontro che s’è svolto nell’aula magna dell’Insubria, nell’ambito di “Parliamo di violenza sulle donne, aspetti culturali e sociali”, un progetto di Angela Todisco e Caterina De Sario. L’appuntamento è stato organizzato dal liceo Classico “E. Cairoli” e dall’ I.S.I.S. “J. M. Keynes” di Gazzada, con la collaborazione del Comune di Varese.

“Dacia Maraini è la scrittrice italiana più tradotta all’estero – ha esordito il preside del Classico Salvatore Consolo – e ha pubblicato più di quaranta libri, tra romanzi, raccolte di racconti, saggi e libri per bambini. Nella sua opera esiste un filo rosso: le protagoniste sono quasi sempre donne in situazioni emotivamente e fisicamente difficili e al centro di storie tremende”.

La Maraini ha attinto queste sue storie alla cronaca e alla documentazione messa a sua disposizione da Amnesty International. “Leggendo tutte queste vicende – ha spiegato la scrittrice –, ho scoperto che molte donne non denunciano le violenze per vari motivi. A volte difendono il marito perché non vogliono disfare la famiglia, pensando soprattutto ai figli. Altre volte le donne che vengono picchiate si sentono comunque amate e non riescono a sottrarsi alla propria situazione, esattamente come avviene per coloro che dipendono dalla passione per il gioco o per il bere. Inoltre io non credo che esistano un mondo maschile dedito alla violenza e uno femminile che semplicemente subisca. Credo piuttosto che ci siano delle forme arcaiche di cultura che si basano sulla violenza”.

In questi ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una diminuzione della violenza tra estranei, mentre è aumentata la violenza in famiglia. “Io mi spiego così questo fenomeno – ha sottolineato la Maraini –: prima del cambiamento del nostro Paese, avvenuto tra il 1960 ed il 1980, esisteva una forma patriarcale di famiglia fatta a piramide. Al vertice c’era un capofamiglia al di sotto del quale le donne si trovavano in una situazione prestabilita di soggezione. Questo era retaggio di un codice fascista e, prima ancora, napoleonico. Quando la legge è cambiata basandosi invece sulla parità dei diritti, questo tipo di famiglia è scomparso e il padre ha dovuto confrontarsi con una sua pari, con una donna avente i suoi stessi diritti. Questo cambiamento, per certi uomini, non è accettabile, abituati ad identificare il proprio potere col possesso. Questi stessi uomini, di fronte ad un atto di autonomia della propria donna, entrano in crisi in modo profondo e possono diventare assassini. Talvolta si suicidano pure. Non si tratta solo di egoismo, dunque, ma qualcosa stravolge letteralmente il loro mondo, portandoli ad un’insanabile crisi d’identità”.

Sono gli uomini più fragili ad identificarsi con questa cultura arcaica; spesso sono stati essi stessi picchiati o violentati. “Tutti i casi di femminicidio che io ho analizzato – ha detto ancora la scrittrice –, sia italiani che stranieri, seguono una stessa formula. C’è una coppia di individui che si sono amati, spesso hanno messo al mondo dei figli. Poi lui, di fronte ad una tensione all’autonomia da parte della donna, comincia a sviluppare una gelosia possessiva assillante sempre più violenta e, se la donna non sta alle sue regole, può arrivare ad ucciderla”.

Il “metodo” usato da questi uomini violenti è lo stesso della mafia. “Quando la mafia vuole colpire un magistrato, un giornalista o un sacerdote, lo porta all’isolamento tramite insistente opera di denigrazione, poi, una volta isolato il soggetto, lo colpisce, spesso uccidendolo. Nel medesimo modo la donna viene isolata dalla famiglia, dal lavoro, dagli amici, e poi viene colpita. Uccisa. In realtà si tratta di un sistema che la mafia ha copiato dai lupi. Per il branco di lupi la prima forma di strategia per l’attacco è l’isolamento della preda. Si tratta dunque di un sistema molto arcaico, nel quale l’uomo perde l’etica e alcuni valori molto importanti, quali la solidarietà e l’incontro con l’altro”.

E la violenza sulle donne non è un fatto privato, ma riguarda tutta la comunità. “La violenza fatta alle donne è una ferita sociale. Noi, come società e come cultura, abbiamo il dovere quantomeno di porci delle domande”. Quanto alla differenza tra uomini e donne nella “gestione” degli impulsi aggressivi, esistenti in entrambi, “le donne, nel corso della storia, sono state forzate a sublimare i propri istinti violenti; inoltre esse hanno la capacità di immaginare il dolore altrui, hanno immaginazione e quindi sono abili a trattenere la propria aggressività”. Relativamente alla dicotomia dei compiti tra uomo e donna, la Maraini ha invece ricordato come sia più facile cambiare le leggi, piuttosto che la mentalità. “Si fa fatica ad uscire dal modo di intendere la divisione dei lavori. Affondiamo le nostre radici in abitudini mentali basate sulla misoginia, sul disprezzo delle donne. La società greca era caratterizzata dalla sopraffazione di un sesso sull’altro. La stessa cultura cristiana attribuisce alla donna la responsabilità della cacciata dal paradiso terrestre. Solo Cristo, in questo senso, rappresenta una delle più grandi rivoluzioni della storia: Cristo non ha mai screditato le donne, non le ha mai discriminate”. Noi crediamo di esserci liberati da questi preconcetti, ma non è così, almeno non del tutto. “E compito dello scrittore è creare consapevolezza”.

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