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Cultura

GESÙ TRA STORIA E MITO

LIVIO GHIRINGHELLI - 17/02/2017

bultmannRudolf Bultmann (1884-1976) formatosi a Marburgo alla scuola del protestantesimo liberale, che riduceva kantianamente il Vangelo a valore morale, nell’ambito della teologia dialettica intorno agli anni venti riuscì a collegare la dimensione della storicità della salvezza con la salvezza della e nella storia.

Il Cristianesimo non è un’unione mistica col divino, ma è un vero e proprio annunzio di resurrezione dalla morte, che trae origine dal fare di Dio e non da un elevarsi dell’uomo. Dio propone una salvezza e l’uomo la fa propria, vedendovi integrata la sua esistenza.

Il primo decisivo traguardo Bultmann lo raggiunge nel 1926 col Gesù. Gesù si riduce ad annuncio di salvezza, atto a provocare la decisione dell’uomo (sulla scorta di Heidegger inteso non come sostanza o soggetto, ma come progetto) di esistere o per la vita attraverso la fede o per la morte nel nulla finale. La fede non ha nessun fondamento storico reale, se non la parola stessa di Gesù, non nella cristologia del Figlio di Dio annunziato, com’è nel dogma della Chiesa. L’escatologia, l’etica, la teologia di Gesù sono ridotte a questo fare di Dio: è un appello perentorio all’uomo perché hic et nunc si decida per la fede. Non servono dogmi, riti, istituzioni, solo la comprensione esistenziale, che coglie nel messaggio il suo compimento autentico. Si tratta solo di ascolto e di accettazione del paradosso. Resta la parola di Gesù: beato colui che non troverà motivo di scandalo in me (Mt. 11,6). Il rapporto con l’esistenza è fondamentale per dare significato.

Noi non conosciamo praticamente nulla della personalità di Gesù; diffalcata la cristologia, resta la soteriologia; il Cristianesimo si risolve del tutto nella predicazione o kerygma. La storia di Gesù va intesa come storia dell’incontro con Gesù. Gesù c’è solo nel fatto della sua predicazione. Regno di Dio imminente significa salvezza per l’uomo, salvezza escatologica, che pone termine a ogni realtà terrestre; esige dall’uomo una decisione e si pone come aut aut. Siamo nel campo di una totale eteronomia nei confronti della logica normale, soprattutto greca e umanistica di sviluppo della personalità. Per Gesù l’incontro con il Regno è rottura con tutto il passato. L’accesso al Regno di Dio comporta una forma antiascetica e meramente pratico-esistenziale. Ogni pietà fondata sull’esperienza gli è assolutamente estranea. L’uomo in quanto tale non è chiamato al Regno di Dio, ma lo è solo in quanto si decide per la chiamata. Gesù chiama alla decisione, non all’interiorità. Il concetto di natura non gioca alcun ruolo.

Non ci si deve riferire ad articoli di fede, né rapportare a comandamenti, che siano altro da questa disposizione. Non c’è dovere di ricorrere a mezzi di grazia o di santificazione. L’abisso tra decisione e santificazione è invalicabile, com’è radicale l’abisso tra natura teologica e proclamazione kerygmatica. Gesù fa valere il tu devi deciderti e non i vari contenuti della decisione. Non c’è in Gesù né un’etica come legge e neppure un’etica del comandamento. Gesù condanna la ricchezza, non perché la povertà sia migliore, ma solo perché “prende per sé il possessore, lo fa schiavo e gli toglie la libertà di decidersi per Dio.

L’esserci o non esserci di Dio non è misurato dal suo costitutivo metafisico, come per i teologi medioevali, ma dall’esserci o non esserci della sua azione. Manca in Gesù una trattazione ontologica di Dio.

C’è in Bultmann la considerazione positiva della concezione di Gesù con la svalutazione dell’apporto ellenistico di Paolo e di Giovanni. Gesù appartiene alla storia del Giudaismo come conclusione e compimento, mentre con Paolo e le comunità ellenistiche comincia qualcosa di nuovo. Il Cristianesimo di Paolo si incentra sulla gnosi e sul mito della sostanzializzazione del mondo spirituale, opposto dualisticamente a quello della carne. Va comunque fatta distinzione tra ciò che un testo dice e ciò che il testo intende; va saldata l’ermeneutica alla comprensione esistenziale (nel senso tecnico e rigoroso della filosofia di Heidegger). Bultmann avverte comunque l’esigenza del metodo storico-critico, avversata di proposito nella ripresa biblica, di natura pneumatica, di Barth.

In un saggio del 1941 “Nuovo Testamento e mitologia” affronta il problema della demitizzazione. È un metodo legittimo, perché ha accompagnato lo sviluppo dell’ermeneutica cristiana fin dalle origini e perché è stato attuato all’interno dello stesso Nuovo Testamento, parzialmente con Paolo e radicalmente con Giovanni.

Il passo decisivo è quando Paolo dichiara che la svolta dal mondo antico a quello nuovo non era situata nel futuro, ma si era prodotta colla venuta di Gesù. L’avvenire è anticipato; lo Spirito Santo, il dono del futuro, è già stato dato. Il Regno di Dio è già fra noi e non si tratta di un interregno come quello messianico del tardo giudaismo. Per Giovanni la venuta e la partenza di Gesù costituiscono l’evento escatologico. Coloro che credono hanno già la vita eterna. Ci si libera dalla proiezione futuristica del millenarismo. Giovanni poi rinuncia all’attesa di futuri eventi cosmici ancora presente in Paolo.

Il kerygma ha un valore non mitico, presenta agli uomini una linea di salvezza non sul piano dogmatico e neppure su quello morale, ma sul piano esistenziale. Solo legittimi sono gli enunciati su Dio, che esprimono la relazione esistenziale tra Dio e l’uomo.

La religione per Bultmann viene fatta consistere nell’individualismo, irripetibile, non oggettivabile sentimento della duplice dipendenza, per cui l’uomo incontra una potenza, a cui la sua interiorità più profonda si apre liberamente e alla quale si sottopone in un libero dono di sé. Va ridotta al semplice fatto privato e irripetibile della dipendenza. Bultmann nega una Chiesa istituzionale, di tutto un popolo e si pronuncia per libere, piccole Chiese, nate dalla spontaneità e dalla libera associazione. Nessun elemento di ritualità esterna.

Bultmann è stato professore a Breslavia, Giessen e dal 1921 al 1961 a Marburgo. Del 1921 è la Storia della tradizione sinottica secondo il metodo critico della storia delle forme, per cui l’esegesi corretta del testo biblico deve essere condotta sulla base delle forme letterarie proprie dell’agiografo. Frutto della collaborazione con Barth e Gogarten la rivista “Zwischen den Zeiten”, organo della teologia dialettica o teologia della crisi.

Da Barth si distacca dopo l’incontro con Heidegger a Marburgo (1924): avvolta dall’angoscia l’esistenza umana si trova di fronte al rischio di perdersi nell’anonimato o alla possibilità di salvarsi scegliendo l’esistenza autentica, quella aperta al futuro. In Gesù è presente il Dio salvatore, anche se il messaggio evangelico avvolge il fatto della croce in un quadro mitologico.

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