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L'intervista

MANI TREMANTI

ALDO CAZZULLO - 07/04/2017

Il cardinal Martini a Gerusalemme

Il cardinal Martini a Gerusalemme

“L’intervista” è il nuovo libro di Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, pubblicato da Mondadori. Per gentile concessione dell’autore, ne proponiamo un brano.

A Gerusalemme sono sempre stato in momenti di speranza. La prima volta era il 1993, al potere c’era Rabin. Ricordo la città vecchia addormentata tranne la scorta sotto casa di Sharon: i soldati israeliani parlavano di lui come di un estremista, che si ostinava a far sventolare la bandiera con la stella di Davide proprio nel cuore del quartiere arabo. Due anni dopo Rabin fu assassinato. Tornai con Ciampi nel 1999, al governo c’era Barak, fece un discorso incoraggiante, la pace pareva a un passo. Andammo anche da Arafat a Ramallah, il raiss ci disse tre frasi in inglese, facemmo due domande, il giorno dopo un giornale concorrente titolò: Intervista ad Arafat. Nell’autunno 2003 Sharon era diventato l’uomo del ritiro da Gaza, lo sentii parlare alla Knesset, tra gli arazzi di Chagall. Nel gennaio 2005 raccontai l’elezione del presidente palestinese Abu Mazen, considerato più aperto al dialogo di Arafat.

Fu allora che andai a trovare Carlo Maria Martini, che avevo già intervistato dieci anni prima in Italia. Gli chiese come stesse. Rispose che il Parkinson non gli dava tregua e alzò le mani tremanti. Tutti sapevano che mancava poco al Conclave (l’agonia di Wojtyla sarebbe durata ancora cinque mesi), e che Martini ne sarebbe stato tra i protagonisti; eppure non aveva pudore di mostrarsi indifeso agli occhi di un giornalista che conosceva appena.

Lo rividi per l’ultima volta a Gallarate, nell’istituto dove aspettava la morte meditando sulla Bibbia. Meno di un anno dopo l’uomo su cui aveva puntato per sbarrare la strada a Ratzinger, Jorge Bergoglio, sarebbe diventato Papa.

 

Un’eco di cose nuove, i segni di una speranza oltrepassano anche le mura dell’Istituto biblico pontificio, all’ombra della porta di Jaffa, dove Carlo Maria Martini è curvo sulla copia del codice vaticano greco 1209, il più antico manoscritto greco della Bibbia, di cui sta scrivendo un’introduzione critica. Racconta l’arcivescovo emerito di Milano di essere affascinato da San Gerolamo, che aveva abbandonato il mondo per dedicarsi alla traduzione della Bibbia e “talora si addormentava con il capo sulle Sacre scritture”.

Il cardinale non vuole parlare di politica, si limita “alla preghiera e all’intercessione, che significa mettersi in mezzo ai contendenti, senza propendere né per l’uno né per l’altro, perché a tutti sia dato di capire anche le ragioni dell’altro”. Ma avverte con chiarezza che qualcosa è cambiato. “Vedo piccole linee di pace. Segnali di riconciliazione. Prove che il dialogo è ancora possibile”.

Martini non crede all’ineluttabilità della separazione tra i due popoli, e neppure a interventi dall’esterno, a mediazioni, a formule elaborate altrove: “Sono loro, le parti in causa, che devono trovare la via d’uscita. Loro è il compito, loro è la grazia. Qualcosa però è già accaduto: si è capito che la violenza è un vicolo cieco, che produce solo altra violenza. Le genti di Terrasanta sono stanche. Vedo nella vita di ogni giorno storie di riconciliazione, di rispetto reciproco, di ascolto, che non arrivano alla superficie della politica ma considero preziose. Spero he i pellegrini non abbiano più paura, che tornino numerosi, a respirare questo clima”.

Il cardinale cita il “Parent’s circle”, associazione di famiglie ebree e arabe accomunate dall’aver perso un figlio in questi anni di terrorismo e guerra. “Si incontrano, si parlano, mettono in comune il loro dolore. E sono ascoltate, perché il lutto dà loro una grande credibilità”.

È tempo d’incontro anche per due comunità divise ancora negli anni scorsi da pregiudizi e incomprensioni, cristiani ed ebrei. “Noi dobbiamo essere equivicini ai popoli di questa terra” dice Martini, che dopo una vita passata a leggere l’ebraico antico sta imparando l’ebraico moderno. C’è da parte dei cristiani maggiore apertura e comprensione verso le ragioni di Israele e il pluralismo del mondo ebraico, nota il cardinale; un’attenzione ricambiata. “Per secoli gli ebrei hanno considerato Gesù nulla più di un falso messia. Oggi molti sono interessati alla sua figura. Qui in Israele c’è una vivace comunità di ebrei messianici, convinti che Cristo sia il messia. E ci sono comunità di cristiani di lingua ebraica”, piccole ma rafforzate dall’arrivo di immigrati dall’Est europeo che vanno riscoprendo le loro radici e che Martini descrive mentre entrano incerti in chiesa il sabato a chiedere dei santi e della Vergine.

La storica opportunità può essere colta, conclude il cardinale prima di tornare al manoscritto, “a patto si capisca che la pace ha un prezzo, implica una rinuncia. Io posso solo pregare, per Gerusalemme e per noi; perché Gerusalemme e il suo crogiolo di fedi e di popoli è il nostro futuro; è il pettine dove i nodi della storia si incastrano e si sciolgono. E guardi che questo non vale solo per loro; vale anche per noi. Le ragioni del dialogo, del rispetto, della comprensione reciproca, devono prevalere anche nella vita pubblica italiana”.

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