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Attualità

DIRITTO DI FISCHIO

MANIGLIO BOTTI - 24/02/2012

Messo in archivio il Festival di Sanremo con il successo di Emma (al secolo Emma Marrone, fiorentina, ventisette anni), e anche di Arisa e di Noemi, viene da domandarsi che cosa resterà di questa sessantaduesima edizione, un’epoca che va oltre la maturità. Le vendite dei dischi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, diranno se il successo canoro è meritato o no, e soprattutto se ve ne sono altri che per adesso sono passati sotto silenzio. Ma davvero oggi è importante sapere se vi sono motivetti sanremesi che entreranno nella storia? Davvero il Festival, trasmesso in Eurovisione, si qualifica ancora come vetrina della musica italiana?

Intanto, sarà forse un caso, il titolo della canzone vincitrice di Emma “Non è l’inferno” si lega in qualche modo alle due performance di chi questo Festival l’ha bene o male monopolizzato: Adriano Celentano. Il quale Celentano – anche opportunamente, è stato rilevato – ha abdicato al suo ruolo di cantante, privilegiato quello di profeta e perorato la causa del paradiso, offendendo coloro che non ne parlano o ne parlano poco (preti, frati, giornali cattolici) e chi genericamente non è d’accordo con lui, e non solo sul paradiso.

Sono stati due attacchi ad alzo zero portati non nella loro sede più idonea (dove si dovrebbe andare solo per cantare) e senza scuse di sorta, in omaggio al concetto: Celentano ha sempre ragione. Sta di fatto che in occasione del secondo intervento, qualcuno s’è permesso di contestare e di fischiare l’artista, suscitando le ire funeste della moglie di Celentano – Claudia Mori – e provocando le riflessioni/considerazioni del “conduttore” del Festival Gianni Morandi: “I fischi sono stati organizzati, non si sa da chi, ma sono stati organizzati”.

E allora, v’è da dire che anche le “standing ovation” e gli applausi, a Sanremo, sono sempre organizzati, sia che si canti sia che si colga il destro per predicare. Quelle dell’inferno e del paradiso, a onor del vero, sono condizioni che esulano dal contesto. Adriano Celentano, che non è un guru e tanto meno un santone, ma solo il migliore e il più furbo cantante della nostra ultima italica storia, le ha richiamate con la stessa sicurezza di colui che viene sorpreso una sera in un bar ad affermare “Chi fa da sé fa per tre” o “Rosso di sera bel tempo si spera” o “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Poi si può convenire o mandarlo a quel paese.

Qui l’obiettivo era un altro: alzare gli indici di ascolto, per la Rai fare cassa (pubblicitaria), grancassa sui giornali e battere Mediaset. A tutti i costi. Anche a quelli altissimi necessari per vedere l’Adrianone sul palco. Lo scopo, ancora una volta, sembra essere stato raggiunto.

A noi che, in ogni caso, sempre paghiamo si lasci almeno il diritto di fischiare.

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