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Cultura

VERI ARCITALIANI

VINCENZO CIARAFFA - 07/07/2017

fantozziOpportunista, mediocre imitatore di stili altrui, egocentrico, fascista della prima ora, tombeur de femmes altolocate, comunista e, infine, maoista. Questo, secondo noi, dovrebbe essere il biglietto di presentazione di Kurt Erich Suckert, scrittore e giornalista, meglio conosciuto come Curzio Malaparte. Secondo Giordano Bruno Guerri un vero arcitaliano. A noi, in verità, sembra la brutta copia di D’Annunzio e del Decadentismo, se non addirittura il prototipo dell’italiano che auspicavano Machiavelli e Guicciardini.

Il nostro Paese, in realtà, di arcitaliani ne ha avuti due soltanto ed erano ambedue ragionieri, Giandomenico Fracchia e Ugo Fantozzi: vigliacco, goffo e schizofrenico il primo, inetto, sfortunato e vittima del potere il secondo. I due “tipi” furono mirabilmente portati sullo schermo da Paolo Villaggio che, mentre scriviamo, ci ha lasciati da poche ore, all’età di 84 anni.

Fracchia e Fantozzi, due nullità, arcitaliani? Certo, ed anche a pieno titolo! A differenza di Eduardo De Filippo e Alberto Sordi che non abbiamo amato, né apprezzato – salvo che in un paio di film – perché portavano in giro per il mondo gli stracci del nostro Paese e non le sue cose più apprezzabili, abbiamo avuto simpatia invece per i due sfigati ragionieri perché essi – e adesso vi facciamo saltare dalla sedia! – incarnavano alla perfezione l’Italia del boom.

Infatti, la vicenda umana e professionale delle due creature di Villaggio si snodava durante l’ultimo periodo del boom economico italiano e i personaggi che l’animavano erano, in fondo, tipici di quel periodo: il megadirettore inavvicinabile, il dirigente approfittatore e pavido, il collega di lavoro ruffiano e lavativo, la belloccia (sic!) inarrivabile e una famiglia improbabile.

Fu quello un periodo di “democrazia generica”, imperniata dentro e intorno ai partiti, non certo incentrata sulla Costituzione, periodo in cui la dirigenza del parastato e dell’industria o discendeva da sacri lombi, o veniva prescelta dalle stesse segreterie dei partiti. E questo si coglie nei film sui vari Fantozzi/Fracchia – monumento all’uomo qualunque di ogni tempo – che ci hanno mostrato quella classe dirigente così parossisticamente tesa al profitto, prevaricatrice, intellettualmente incapace di entrare in empatia con la base dei lavoratori. Qualcuno tra i lettori di RMFonline si starà certamente domandando cosa c’entra questo con il boom economico. Secondo noi c’entra e come.

I due personaggi di Fantozzi e Fracchia sono stati i Monsù Travet del Novecento italiano e come il loro omologo torinese di fine Ottocento hanno contribuito a costruire l’Italia, sebbene maltrattati, ignorati, vessati e umiliati. Anzi, possiamo dire che se Ignazio Travet aveva partecipato all’edificazione dell’Italia umbertina, i due nostri hanno incarnato il Cireneo che ha retto la croce di un malsano rapporto esistente tra i vertici e la base del nostro sistema produttivo. Infatti, permeato della sua consapevole inadeguatezza professionale, il ragionier Fantozzi cercava di mantenere un basso profilo e ciò, in fondo, andava bene a stemperare la conflittualità nel mondo del lavoro, che già di suo era molto accesa in quegli anni. Questo “prudente” modo di essere venne meno soltanto quando Fantozzi si lasciò andare in questa esternazione contro il film di Ejzenstejn che, nei primi anni della RAI, ha rovinato molte serate a noi ragazzi di allora che, quando sognavamo la puntata di Rin Tin Tin, ci vedevamo propinare una mattonata di cui pensavamo la stessa cosa del nostro ragioniere Ugo: «La corazzata Potemkin è una ca…. pazzesca!». Bravo amico Fantozzi, con quella coraggiosa affermazione ci vendicasti tutti.

Dicevamo prima che Fracchia e Fantozzi erano, a ben vedere, due prototipi dell’uomo qualunque italiano, quello che tutti inseriscono nelle loro statistiche ma che nessuno sa che volto abbia, quali siano i suoi bisogni, le sue aspirazioni ed i suoi obiettivi, sennò ci saremmo accorti da tempo che a all’uomo qualunque/Fantozzi l’Italia deve anche la fine della follia sindacalese. I meno giovani ricorderanno che cosa accadde a Torino il 14 ottobre del 1980 e cioè che, per la prima volta nella storia del sindacato, quarantamila colletti bianchi della FIAT (i vari Fantozzi/Fracchia…) si rivoltarono contro un sindacato che aveva portato la conflittualità a livelli tanto inauditi quanto improduttivi.

E che dire della mitica Bianchina del ragioniere Ugo, oggi non la vorrebbero neppure i ragazzini dell’asilo per giocarci a nascondino, ma noi ragazzi di un tempo lontano in quell’auto, dove il solo abbracciarsi costituiva un problema dati gli spazi, ci volammo, ci sognammo, ci amammo.

 

 

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