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Attualità

VENTI DI GUERRA

VINCENZO CIARAFFA - 28/06/2019

Un drone americano

Un drone americano

Dieci giorni fa gli iraniani hanno abbattuto un drone spia americano del tipo RQ-4 Global Hawk perché questo, almeno così hanno sostenuto, aveva violato il loro spazio aereo sopra il distretto di Kouhmobarak che affaccia sullo Stretto di Hormuz, dove transita un quinto della produzione mondiale di petrolio.

 Subito dopo l’abbattimento del drone è iniziata la solita pantomima di accuse, contraccuse e minacce: il presidente iraniano Rouhani, con i toni millenaristi di tutti i leader musulmani integralisti, ha minacciato di avviare la “madre di tutte le guerre” contro gli Stati Uniti (Oddio, lo slogan non portò bene al suo inventore, Saddam Hussein); Trump ha ordinato un attacco aereo di rappresaglia contro delle basi missilistiche iraniane, salvo poi fermarlo dieci minuti prima che partissero gli aerei, dichiarando “… per non fare delle vittime civili”. In realtà lo ha fatto per giocare come il gatto col topo con gli ayatollah mentre, per accrescere il senso di frustrazione degli iraniani, il Cyber Command statunitense sferrava un cyber attacco contro i sistemi informatici e di controllo dei loro lanciamissili.

Questo stato di crescente tensione risale a un accordo sull’energia nucleare, il Joint Comprehensive Plan Of Action, più conosciuto con l’acronimo JCPOA, che nel 2015 Obama firmò con l’Iran assieme agli altri quattro leader dei Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e assieme anche all’Unione europea e alla Germania. In base a tale accordo l’Iran avrebbe limitato, ma non sospeso, l’arricchimento dell’uranio, ricevendone in cambio la cessazione delle sanzioni economiche, un accordo che l’8 maggio dell’anno scorso Donald Trump ha praticamente stracciato.

Ebbene, i pezzi del drone abbattuto non avevano ancora toccato terra che è ripartita la scientifica disinformazione dei democratici americani e delle loro “succursali” nazionali ed europee per fare apparire, come ormai stanno facendo dal giorno della sua elezione alla Casa Bianca, Donald Trump un guerrafondaio ignorante, un residuato del peggiore Far West.

 Essi, in realtà, hanno stravolto la storia non considerando che Trump, in un paio di anni, ha fatto per la pace più del suo osannato predecessore in due mandati. Si pensi, infatti, alla Corea del Nord e alla Siria. Peraltro la nuova icona democratica Obama, per quanto non si sia mai capito per quali meriti pacifisti abbia ottenuto il Nobel per la pace appena sei mesi dopo essersi insediato alla Casa Bianca, lui sì che fu un guerrafondaio perché, pur avendo incentrato la campagna elettorale sulla promessa di chiudere le guerre di George W. Bush, è stato, invece, il presidente che nella storia americana ha passato più tempo in guerra, che ha venduto più armi all’estero e che ha fatto bombardare Paesi sovrani come la Libia, il Pakistan, la Somalia e lo Yemen. Per un Nobel per la pace non è stato proprio il massimo.

In realtà, anche alla luce delle alleanze statunitensi in Medio Oriente e in Asia, quello firmato da Obama con l’Iran non fu un grande accordo perché, in buona sostanza, lasciava a quel governo – una teocrazia oscurantista che considera l’America il grande Satana –- campo libero per portare avanti il suo programma nucleare, divenendo così una concreta minaccia per i più fidati alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente.

 Parliamo soprattutto di Israele e dell’Arabia Saudita, un Paese quest’ultimo di religione sunnita e grande rivale dell’Iran sciita che, tra l’altro, finanzia e sostiene organizzazioni terroristiche come Hezbollah, Hamas, Al Qaeda e Talebani in funzione anti israeliana e anti americana, senza parlare della corsa agli armamenti che il JCPOA ha scatenato tra i Paesi del Golfo Persico, tutti di religione sunnita e che, con qualche ragione, hanno motivo di temere un’eventuale egemonia militare iraniana nell’area.

 Lo stato d’insofferenza e di timore di questi Paesi verso l’Iran/Persia è giunto al punto che il Consiglio di cooperazione del Golfo non accetta più la denominazione di Golfo Persico ma soltanto quella di Golfo Arabico.

 Secondo l’ipotesi di uno sparuto gruppo di osservatori, che noi peraltro condividiamo, con il rigetto unilaterale del JCPOA e il ripristino delle sanzioni, l’Amministrazione Trump avrebbe deciso di sacrificare per un po’ la sicurezza nel Golfo Arabico al fine di poter strangolare economicamente l’Iran con le sanzioni primarie (ossia le proprie) e secondarie (ossia quelle dei Paesi alleati degli Usa) e fare crescere, così, quella protesta popolare e giovanile che già da alcuni anni cova sotto la cenere.

 Ma c’è anche un’altra ragione, a nostro avviso trascurata dagli analisti e dai media, che spinge l’amministrazione americana a tenere sulla corda il regime iraniano, una ragione che si evince andando a guardare la carta geografica: per il tramite della “Karakorum Highway”, costruita in accordo con il Pakistan, la Cina, altra potenza nucleare e competitrice degli Usa, si è affacciata sul Golfo Persico! Lo ha fatto con un approdo tutto suo, poiché è una società cinese a gestire il porto pakistano di Gwadar che è diventato il terminale pakistano di un corridoio economico capace di portare i prodotti petroliferi del Golfo Arabico direttamente in Cina per mare e, in caso di blocco del Golfo, su strada.

 Ritornando alla cartina geografica si nota subito che un Iran dotato di nucleare per scopi militari amplierebbe pericolosamente un’area che, già oggi e senza nessuna soluzione di continuità, è la più nuclearizzata del globo, vista la contiguità di nazioni dotate di atomica come la Russia, la Cina, l’India e il Pakistan e che, eccetto l’India, non sono proprio amiche degli USA.

 Come dire che la metà dei 7, 53 miliardi di abitanti della terra, peraltro cittadini di Paesi dove il controllo democratico sull’operato dei governi è pressoché zero, potrebbe disintegrare l’altra metà in un minuto.

 Provate a immaginare quali e quante prospettive di sopravvivenza pacifica avrebbe l’umanità se a questo perverso club atomico si unisse una Repubblica coranica il cui fondatore, l’ayatollah Khomeyni, predicava che “… Jihad significa conquistare tutti i territori non islamici. Simili guerre possono essere legittimamente dichiarate una volta instaurato un governo islamico degno del proprio nome, tramite la guida dell’Imam o per suo ordine…”.

Speriamo di aver dato un piccolissimo contributo a chiarire le ragioni che, secondo noi, sono alla base della contrapposizione Iran-Stati Uniti dell’era Trump al quale, già oggi, la causa della pace deve più di quanto siano disposti ad ammettere i suoi detrattori.

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