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Spettacoli

STANLEY IL VITELLONE

MANIGLIO BOTTI - 23/02/2018

sordiDa una classifica pubblicata di recente e diffusa anche sui social s’è venuti a conoscenza dei dieci film preferiti da Stanley Kubrick, uno dei “mostri sacri” del cinema mondiale, scomparso una ventina di anni fa, regista di molti capolavori di più vario genere tra cui piace ricordare, tra gli altri, Orizzonti di gloria, 2001: Odissea nello spazio, Arancia meccanica, Barry Lyndon, Shining…

Ebbene, nell’elenco dei suoi titoli più amati – in cui compare come quasi sempre in ogni classifica il famoso Quarto potere, di Orson Welles, pietra miliare della cinematografia – figura in testa, e addirittura quale miglior film, i Vitelloni, di Federico Fellini.

È abbastanza singolare la scelta, perché questo film racconta soprattutto della vita di quattro, cinque giovani perditempo di una città della provincia italiana subito dopo la fine della seconda guerra mondiale – il film si apre con la cerimonia dell’elezione di una Miss, nella primavera del ’53, che è lo stesso anno della sua uscita –, e Kubrick era un americano-britannico. Tuttavia, da genio e da uomo sensibile, aveva saputo leggervi la poesia universale della vita, dei suoi desideri inespressi, della volontà umana di cambiare e migliorare un tran-tran amorfo e senza storia, collocandolo in cima al suo catalogo dell’arte.

La storia è autobiografica. Quando Federico Fellini, che era nato nel ’20, la raccontò aveva trentatré anni. Ma non è escluso che avesse tratto ispirazione dagli anni precedenti alla guerra, negli anni in cui Fellas (così lo chiamavano gli amici e così firmava i suoi primi lavori di vignettista) abbandonò Rimini per andare a cercare fortuna a Roma, e qualcuno dice senza ancora avere conseguito la maturità classica.

Come s’è detto, si parla delle vicende di quattro, cinque giovanotti, ma qualcuno s’è già dovuto sposare frettolosamente ed è papà di un figlio, in una cittadina della nostra provincia. Molto genericamente dei perditempo, degli svagati, tutt’al più dei sognatori. Oggi si direbbe di loro: dei “bamboccioni”. Il temine ”vitelloni”, che poi è entrato anche nei dizionari per caratterizzare quel particolarissimo andazzo di giovanotti, invece fu coniato da Ennio Flaiano, che con Tullio Pinelli e Federico Fellini era stato co-sceneggiatore del film.

Flaiano, abruzzese di Pescara, maggiore di dieci anni di Fellini, è stato uno dei più grandi intellettuali e letterati del dopoguerra: giornalista, saggista, drammaturgo, scrittore. Con il romanzo Tempo di uccidere, ispirato alle sue vicende di ufficiale dell’esercito durante la guerra in Africa, nel 1947, era stato il primo vincitore del Premio Strega. Vitellone è un modo di dire di molte località del centro Italia per qualificare il giovane bighellone e nulla facente. Il termine esatto sarebbe stato “budellone”. In Lombardia i ragazzi così li chiamano “flanelloni”.

Non è un caso che nel film i protagonisti siano chiamati tutti con il proprio nome di battesimo: Fausto (Fabrizi), il più grande e il più “casinista”; Alberto (Sordi), il bamboccione del gruppo, che a trent’anni e passa non riesce a svincolarsi dalla famiglia e dalla sorella che lo mantiene; Leopoldo detto Poldo (Trieste), aspirante scrittore e commediografo, l’intellettuale; Riccardo (Fellini), il fratello del regista, cantante, sprovveduto venditore di auto. L’unico nel film che non è chiamato con il suo vero nome è Moraldo (Franco Interlenghi), il personaggio che più si avvicina alla storia di Fellini, che riuscirà infine a staccarsi dal manipolo dei vitelloni e a prendere il treno per scappare via dalla “piccola” città. Destinazione ignota, forse Roma. Chi lo sa.

Sono diverse le sequenze famose del film: un’alba livida in una piazza, forse quella di Rimini, dove dopo una festa di Carnevale, Alberto, travestito da donna, si incammina mezzo brillo, trascinando un mascherone; Leopoldo che sta per essere irretito da un teatrante, probabilmente omosessuale, cui ha fatto leggere una “prima” di una sua commedia.

Ma la più nota, quella che è entrata nell’immaginario collettivo e magari anche nel costume italiano, è il gesto dell’ombrello fatto seguire da una pernacchia che Alberto rivolge ad alcuni operai… I “vitelloni”, a bordo di una macchina “rimediata” sono andati alla ricerca di Sandra, sorella di Moraldo e giovane moglie di Fausto che s’era allontanata di casa col bimbo appena nato tra le braccia, per punire il marito inconcludente e infedele.

La raccontiamo così come descritta nel libro “Quattro film”, pubblicato da Einaudi quarantaquattro anni fa, con le sceneggiature di quattro opere del regista riminese: i Vitelloni, appunto, la Dolce vita, 8 e ½ e Giulietta degli spiriti.

“Strada trasparente: strada di campagna. Crepuscolo… Sull’auto, Riccardo, Leopoldo e allegri, storditi dal sole e dal vino, stanno rientrando in città. Alberto, in piedi, è affacciato dal tettuccio della macchina. Degli operai sterratori e selciaroli, stanno accomodando la strada, Alberto, passando, li chiama.

“Alberto (grida): Lavoratori! Tò! E fa seguire un pernacchio. Gli operai smettono immediatamente di lavorare sorpresi e borbottano qualche parola di indignazione. Alberto (fuori campo): Lavoratori della mazza! Gli operai guardano la macchina che ha già preso un centinaio di metri.

“Interno auto: strada di campagna. Crepuscolo. Leopoldo e Alberto cantano. La macchina procede a strattoni e si ferma. Riccardo appare immediatamente preoccupato. Riccardo: Che ha ‘sta macchina mannaggia! Alberto (preoccupato): Che succede? Ti fermi? (Dà un sguardo indietro). Riccardo: Scendi, apri il cofano. Alberto: Fai qualche cosa! Riccardo: Ma cosa vuoi che faccia.

“Alberto scende con un salto e si volta a guardare… Alberto (grida) Vengono! (E scappa… per i campi).

“…Il piccolo drappello di operai ha spiccato la corsa. Ognuno ha con sé un attrezzo. Gridano come indiani…”. Leolpoldo, che non s’è reso conto di nulla, viene catturato… Riferendosi agli amici: Eccoli là… Sono scappati di là.

“Due operai lo acchiappano e lo scuotono: Falla adesso la pernacchia!

Leopoldo (sgomento) Non mi permetterei io… Io non c’entro… Sono socialista… Leopoldo riesca a scappare inseguito a calcioni da uno degli operai.”

Ecco, in queste scene c’è tutta l’Italia. Grande, piccola, meschina. Fa piacere – e sorprende anche un poco – che siano piaciute a Stanley Kubrick, americano e britannico. Ma quando c’è la poesia, c’è tutto.

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