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Cultura

L’ARTE EVANGELICA

PAOLA VIOTTO - 30/03/2018

Decima cappella: la crocefissione

Decima cappella: la crocefissione

Quando si sale al Sacro Monte tutta la parte dedicata ai Misteri Dolorosi è una piccola Via Crucis, condensata in cinque tappe. Si parte un po’ in sordina dalla preghiera nell’Orto degli Ulivi della sesta cappella, dove si rappresenta Gesù che comincia a provare tristezza, paura e angoscia al pensiero di ciò che l’attende, mentre gli Apostoli si addormentano incapaci di vegliare lui. Lo scultore Francesco Silva ha come pudore nel rappresentare questa sofferenza spirituale, che pure, narrano i Vangeli, è così straziante che “ il suo sudore diventò come gocce di sangue”. Il visitatore distratto, con la mente ancor piena dei Misteri gaudiosi che si è appena lasciato alle spalle può ancora non cogliere la drammaticità del momento.

Ma poi viene la brusca svolta della settima cappella, e siamo introdotti nel lungo rettilineo in salita che culmina nella grandiosa Crocefissione della decima. È un percorso faticoso sul lato in ombra del monte, dove si allineano le cappelle che scandiscono le tappe della sofferenza fisica di Cristo. Qui gli scultori seicenteschi hanno dato il meglio di sé nel rappresentare la cattiveria spietata degli sgherri che infieriscono su Cristo. Martino Retti, che ha realizzato le statue della Flagellazione in perfetta armonia con gli affreschi di Morazzone, mette ancora al centro la figura di Gesù, che conserva tutta la dignità e nobiltà del Figlio di Dio. Attorno a lui ruotano le figure degli aguzzini, accompagnati da un cane feroce che mostra i denti, ma nonostante tutta la loro violenza non sono loro i protagonisti della scena.

Nelle due cappelle successive però, quelle dell’Incoronazione di spine e dell’andata al Calvario, Francesco Silva si fa come prendere la mano dalla crudeltà dei carnefici. È un crescendo di gesti feroci e volgari e di volti spaventosi che urlano tutta la potenza del male. Seguendo una radicata convinzione dell’epoca lo scultore mostra come Il male delle loro anime abbia reso deformi anche i loro corpi. Gli aguzzini sono orbi e sdentati, hanno gozzi e verruche, orecchie ridotte a brandelli da una vita di violenza. I gesti di pietà come quello della Veronica, le lacrime di Maria e delle donne che l’accompagnano mettono ancora di più in risalto la loro crudeltà efferata. È un’interpretazione teatrale e popolare delle pagine del Vangelo, ma risulta ancor oggi efficace e coinvolgente. In questo percorso in salita che vuole imitare la salita di Cristo al Calvario il pellegrino ha come unico riferimento positivo la vista lontana del campanile del Santuario, meta finale dell’intero percorso, senza però che si intravveda una strada per salirvi. L’arrivo visibile, apparentemente definitivo, di questa salita dei misteri dolorosi è la cappella della Crocefissione.

La decima, insieme con la settima, è una delle più belle dal punto di vista artistico. Un team di autori inedito per il Sacro Monte, lo scultore Dionigi Bussola e il pittore Antonio Busca, raggiungono un perfetto affiatamento nel tradurre in forme potentemente espressive il momento in cui la croce di Cristo viene innalzata al cielo. È un dramma cosmico, che coinvolge in un moto vorticoso cavalieri romani e orientali con il turbante, aguzzini e spettatori che si affacciano dalle rocce, donne, vecchi e ragazzini, cavalli imbizzarriti e cani ringhianti. In primo piano Maria sta per svenire tra le braccia delle donne e in alto gli angeli roteano tra le nubi. Sembra il trionfo definitivo del male.

Ma questo momento centrale e cruciale non è quello finale. Dopo la decima cappella il viale fa una svolta netta, una conversione a U che era impossibile prevedere salendo dal basso. Dopo la cappella della Crocefissione c’è quella della Resurrezione. Cristo esce vittorioso dal sepolcro. La morte è stata sconfitta.

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