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Opinioni

L’EX VANTO ITALIANO

LILIANO FRATTINI - 10/03/2012

 

Il primo giorno che entrai in Rai, in corso Sempione, a Milano nel lontano 1967, dopo i convenevoli e il disbrigo burocratico notai un gruppetto di persone (seppi poi che erano tutti giornalisti) impegnati in una vivace discussione. Timidamente mi avvicinai e raccolsi le prime impressioni sui malanni dell’azienda radiotelevisiva servizio pubblico. Il filo-rosso si è dipanato per un lunghissimo periodo sempre rafforzato da vivaci e a volte stralunate polemiche che continuano oggi a tenere banco e sembrano ancora appassionare l’opinione pubblica.

È il momento, questo, in cui gli immacolati maggiorenti politici ripropongono i loro verginali propositi per ridare alla RAI una legittima credibilità, enunciando che ognuno, per conto proprio, s’impegnerà a salvaguardare l’obiettività dell’informazione, la designazione di manager super partes, preparati, per il management, la fine delle spartizioni, e la garanzia che le assunzioni non saranno più il risultato di patteggiamenti.

La peculiarità lottizzatrice ha segnato ogni ganglio della struttura operativa, mortificando il pluralismo dell’informazione con conseguente imbarbarimento della gestione sfuggita a un serio controllo da parte della Commissione di vigilanza sulla Rai, anch’essa espressione di logiche spartitorie rivolte alla tutela degli interessi interni all’azienda. Così c’è stata una dissipazione di denaro con budget miliardari, deterioramento del prodotto d’intrattenimento, rincorsa ai modelli delle TV private, di proprietà dell’on. Berlusconi che gode in seno alla RAI di un potere e di un controllo fuori di ogni immaginazione.

Forse qualcuno ricorda che nel 1995 ci fu un referendum che sancì la privatizzazione della RAI con una percentuale del 54,9%. Non sono bastati i quasi quattordici milioni di italiani per indurre la classe dirigente a cambiare sistema e metodi per la TV di Stato. Tutto è continuato come prima, peggio di prima. Ripensate un solo momento al recente Festival di Sanremo di celentana memoria. Pensate agli ottocentomila euro! Pensate alla programmazione, a quello che la RAI ci propina ogni giorno nell’informazione e nel trattenimento. Ci sono trasmissioni coraggiose ma modestamente mi sembrano orientate, espressione di una parte vitale del Paese ma sempre non rappresentative di un pluralismo oculato.

Valutate i TG, hanno più o meno la stessa struttura e in maggioranza la stessa impronta, tranne il TG3 che soddisfa una parte definita di telespettatori. Che cosa fare in questo momento di liberalizzazioni? Privatizzare la Rai, allineandola così alle emittenti di Mediaset, trasformandola in un diverso carrozzone, ieri pubblico oggi privato, soggetto a regole che poco hanno a che fare con il pluralismo e una leale libertà d’informazione?

La RAI è stata per un periodo una mirabile e grande industria culturale, vanto dell’Italia, pur soggetta a spinte e controspinte dei partiti politici; è vero che nel periodo d’oro c’era un solo partito dominante (la DC di Fanfani con il suo plenipotenziario Bernabei a viale Mazzini) ma dentro l’azienda agivano luminari del giornalismo di pensiero diverso, laico e progressista che costituivano l’ossatura di un modello culturale e d’intrattenimento di cui ancora oggi ci ricordiamo.

Poi la selvaggia lottizzazione.

Oggettivamente oggi i partiti sono in crisi, la politica targata Montecitorio e Palazzo Madama è in crisi. Cosa ci si può aspettare da una riforma della RAI (privata o ancora pubblica?) gestita dalla “casta”? Personalmente sono propenso ad assegnare al governo Monti, un governo tecnico, il compito di ridisegnare la TV di Stato (modello BBC?) per sottrarre l’operazione ai famelici “tutori” in quarantena politica. Nonostante l’ex missino e capo gruppo al Senato, Gasparri, minacci sfracelli se il ”giocattolo” dovesse passare in carica “a chi non ha la competenza, il Governo, perché è una riforma che tocca, a noi, al Parlamento”. Alla “casta”.

Noi continuiamo a pagare un canone, tassa obbligatoria, mentre gli attuali capi di viale Mazzini non rispettano gli obblighi di dignità che hanno verso gli obbligati abbonati e teleradiospettatori.

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