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Cultura

A DIFESA DEL DIALETTO

CARLA TOCCHETTI - 10/03/2012

 

esempio di biodiversità linguistica in Val di Susa…

Ben seimila nel mondo sono le lingue che l’Unesco segnala come a rischio di estinzione nei prossimi decenni, in un clamoroso messaggio di allarme lanciato nella tredicesima Giornata Mondiale per la Tutela delle Lingue Madri. Fra quelle a rischio, Unesco censisce in Italia anche trentuno lingue locali (languages) di cui ben ventidue rasentano l’irreversibilità: nel novero c’è anche il Lombardo. La precisazione di “definitivamente a rischio”, è riferita al fatto che queste parlate non vengono più insegnate in casa ai bambini come madrelingua, sono sempre più circoscritte alle generazioni anziane (nonni): i genitori le comprendono ma non le usano né con i figli né tra loro.

I criteri Unesco che stabiliscono scientificamente il pericolo di estinzione di una parlata, si fondano su un gruppo di rigidi parametri: fra questi la trasmissione intergenerazionale, la versatilità di adattamento ai tempi che cambiano, l’esistenza in opere letterarie o nei media o in documenti ufficiali, e, ultimo ma non meno importante, la considerazione che gli stessi parlanti e le istituzioni hanno della lingua locale. Per il Lombardo non è un problema il numero dei parlanti e la loro incidenza sul totale della popolazione, visto che questa isola linguistica riguarda tre milioni e mezzo di individui sparsi in Lombardia, nel Novarese, nel Canton Ticino e altre parti della Svizzera.

Dopo l’allarme, Unesco rinsalda la promozione della tutela della lingua madre, basata su un importante concetto motivazionale: il patrimonio ambientale di un territorio, oltre a quello storico e culturale, al di là dei confini geopolitici, è destinato a scomparire se non vengono valorizzati i dialetti diffusi localmente. Penseremmo solamente il contrario: che, abbandonato un territorio, si perde il dialetto locale; invece, esiste un profondo collegamento tra lingua parlata e conoscenze tradizionali collegate alla biodiversità del territorio. Le comunità locali hanno una speciale conoscenza dell’ambiente, che tramandano attraverso l’espressione linguistica – spesso solo orale. Corre subito il pensiero ai toponimi: solo di recente ne è comparsa la trascrizione in cartelli bilingui. Oppure alle numerose varietà di specie botaniche selvatiche utilizzate nei secoli dai predecessori per usi domestici o curativi. Oppure quella particolare pianta di mela, icona delle specie fruttifere locali, che potrebbe scomparire da un momento all’altro: c’è chi la chiama “pomm giazz ròtt” (in italiano non si sa), ormai si ritrova quasi inselvatichita oltre il limitare di vecchi orti. Oppure quel corpus di migliaia di canzoni popolari tramandate solo oralmente, raccolto dal Civico Liceo Musicale di Varese con capillare opera di registrazione, che annovera canzoni originali tipiche della tal minuscola frazione di valle dell’alto Varesotto, altrove già dimenticate o sconosciute.

Strumenti per concorrere alla tutela della lingua locale sono a portata di mano, ma ci deve essere considerazione da parte della gente e delle istituzioni. Innanzitutto si potrebbero incoraggiare maggiormente le varie possibilità espressive del dialetto: letterarie, audiovisive, espositive; si potrebbero costituire o rendere disponibili al pubblico archivi multimediali, proseguire nelle ricerche storiche su architetture minori o luoghi “del cuore”, seguendo le indicazioni che emergono dalle memorie della gente.

Si dice che la lingua imparata dalla madre è quella del cuore, la lingua con la quale si impara a guardare il mondo da un determinato punto di vista e a esprimerlo. Strumento per capire la realtà e interpretarla, è la lingua che ci accompagnerà per tutta la vita e ci resterà nel cuore. La tanto reclamizzata coesione sociale passa anche per le forme linguistiche, non dimentichiamolo. “Parlare a qualcuno in una lingua che comprende, consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre, significa raggiungere il suo cuore” (Nelson Mandela).

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