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Cultura

ZAMBRELLI, PITTORE E INCISORE

BARBARA MAJORINO - 19/10/2018

zambrelliLa mostra antologica del pittore-incisore Marco Zambrelli bustese di nascita (1947), ospitata a Palazzo Marliani-Cicogna a Busto Arsizio a cura dello studio Torresan, sta ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. Numerose sono le scolaresche del liceo artistico bustese che l’hanno visitata assistendo e partecipando anche a prove di stampa calcografica. Infatti nell’esposizione antologica ci sono pure i “ferri del mestiere” come il torchio e le lastre di rame e zinco, quasi a testimoniare che l’arte e l’artigianato non sono esenti da fatica e impegno.

Importante il lavoro artistico di Marco Zambrelli dai tempi nei quali passò dalla pittura all’incisione; in particolare, i suoi studi accurati sulla nostra campagna lombarda elaborata ai limiti della raffinatezza, conferendole una perizia cromatica che nulla ha da invidiare alla pittura. Ci riesce, grazie alla sapiente elaborazione delle sue tre lastre acidate dai tre colori fondamentali: rosso, giallo, blu usati e sovrapposti, in modo da ottenere tutta una gamma di toni morbidi, sfumati e pastellati.

Protagonisti del suo paesaggio ideale ma anche reale sono vecchi cascinali con mulini obsoleti, prati di composite e ombrellifere e di altri fiorellini selvatici senza nome, campi di granoturco e di orzo. Il suo segno grafico sa conferire al tutto un soffio poetico di grande intensità e suggestione. Elevando l’incisione a pittoricismo espressivo, si propone di spezzare la vecchia canonica classificazione di “arti maggiori e arti minori”, mostrando una volta per tutte che il mestiere, il gesto, gli strumenti impiegati e l’attenta ricerca cromatica (sperimenta addirittura la tecnica elaborata della quadricromia) sono arte e mestiere ad un tempo.

È infatti la perdita del mestiere, la degradazione industriale a largo spettro dei materiali, i quali non hanno fatto altro che accompagnare in modo ineluttabile, il restringersi progressivo del progetto perseguito dall’arte, a cui Zambrelli si è sempre opposto, rimanendo attento testimone, non solo di tutto ciò che è visibile, ma anche dell’invisibile, dell’illusorio, del simbolico. Di ciò che appartiene al regno della favola, del simbolo, del mito che è poi la vera funzione dell’arte.

Si diceva poc’anzi di toni morbidi e pastellati inseriti nelle sue ceremolli acquatinte. Eccolo allora, quasi a voler rinascere dopo un brutto incidente sulla sua moto (la mitica Indian) che gli ha creato non pochi problemi di salute, ritornare al pastello, in tutta la sua semplicità; quel pastello leggero e insieme incisivo che tanto ci ricorda il talco di cui, bambini, respiravamo il pulviscolo o le sottili impalpabili polveri colorate nelle ciprie d’antan.

Per dirla con le parole di Jean Clair “la grazia del pastello è di essere al tempo stesso tracciato e macchia, iscrizione e copertura, forma e colore”. In esso la differenza fra linee e superficie, forme e colore, se non proprio abolite, vengono rese volutamente “indistinte”. “Arte asciutta” lo definisce sempre Clair, in quanto non sopporta il miscuglio né la contraddizione. Non a caso anche Degas, attento studioso delle luci, delle ombre e penombre, è stato un grande pastellista con continue ossessive sperimentazioni di metodi per “umidificare” e “fissare” i pastelli su cartoncini speciali che lui stesso preparava con vernici e colle particolari. Ma è in un periodo storico come quello che viviamo, nel quale il mondo “tecnico” non propone che la promulgazione indefinita di prodotti seriali e intercambiabili, che assume un senso l’ostinazione del pastellista a far “sbocciare” piante e fiori che sa essere effimeri. Catturare colori che si smorzeranno.

Ma veniamo alle ultime produzioni artistiche di Zambrelli. Il cielo, o meglio, quei cieli puliti che ci proteggevano durante l’infanzia quando, supini nell’erba, ammiravamo incuriositi le forme delle nuvole con cui ricreare – fantasticando – strane forme di animali, prende corpo sui pastelli “Invitation au voyage” (gli spumosi nembi che fanno pensare alle “nuvole meravigliose” scrutate dallo straniero di Baudelaire in “Spleen di Parigi”) fino al sorgere della luna sul calar della sera in “Last Night Pastel” e “Suburban blu Pastel”. Per non dire di sereni e distesi cirri nel “Rose Pastel” che sovrastano le cime innevate. “Foglie d’erba” richiama fin nel titolo (“Leaves of Grass”) la poesia di Walt Whitman e ci mostra fili verdi di un prato che si può indovinare brulicante di tante piccole vite nascoste. Dal cielo allo studio sul “ceruleo” del vaso di fiori di plumbago su una veranda mediterranea (forse la Sardegna) dalle terse luci in un assorto quieto meriggiare estivo.

Quasi in una corrispondenza alla Magritte, le pietre sui greti dei fiumi sembrano sfidare la legge di gravità e appaiono leggere come nuvole in “Complementary 1” e “Complementary 2”. E di converso, nuvole gravide e grevi come pietre sospese. Zambrelli ha effettuato come pittore figurativo diversi percorsi artistici, tra i quali quelli espressionistici del periodo della cosiddetta “disintegrazione”.

Ma è fuori dubbio che il suo itinerario di rinascita spirituale passi attraverso il paesaggio del quale si è sempre dichiarato “innamorato”, nella cui immersione, esplora e individua una funzione catartica e persino terapeutica. Lo dimostrano anche “The Mirror” (ceramolle acquatinta eseguita su 4 lastre) e la “Traccia” coi suoi filamenti argentei sull’acqua. Se escludiamo il percorso espressionistico e le buone committenze ritrattistiche alle quali nessun artigiano-artista può sottrarsi oltre a qualche incursione nell’ “astratto”, anch’esse parte integrante del suo bagaglio esperienziale, nella pittura, nell’incisione e nei citati pastelli di Zambrelli è quasi assente la figura umana. Altri artisti lo hanno fatto (Monet, Morandi solo per fare esempi tra i più illustri), forse perché non potevano più sopportare la parte narcisistica di se stessi.

Ecco allora calarsi nel paesaggio per dimenticarsi. O più probabilmente, per mostrare un ordine, una bellezza, una grazia e un equilibrio già insito nel creato stesso senza il diretto intervento umano. Dopo molti percorsi espositivi impossibili da elencare tutti, presso le gallerie di Spoleto, Milano, Locarno, Amburgo, Philadelphia (Usa), Toronto (Canada), non ultima anche l’ elegante galleria Ghiggini della nostra Varese, ora il Comune di Busto Arsizio rende onore al suo artista nella raffinata cornice di Palazzo Cicogna (piazza Vittorio Emanuele, 2) che ben si adatta alla sua lunga ed esaustiva attività grafico-pittorica.

Orari della mostra: Da martedì a giovedì: 14.30 – 18; venerdì: 9.30 – 13 -14.30 – 18; sabato: 14.30 – 18.30 Domenica: 15-18.30; lunedì chiuso

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