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Società

LE CITTÀ DEL GREMBIULE

LUISA OPRANDI - 17/03/2012

C’è un’immagine che ha segnato, dalla gioventù, il modo in cui penso alla relazione sociale e al patto collettivo fondamento delle comunità civili: il “grembiule” che don Tonino Bello riconosceva come segno distintivo di chi si pone al servizio degli altri e interpreta l’appartenenza alla storia come capacità di “organizzare la speranza”.

Ne parlava il vescovo di Molfetta scomparso ad inizio degli anni Novanta, riferendosi alla comunità dei cristiani, ma quel messaggio chiaro ed incisivo ha sempre saputo andare oltre, raggiungendo chiunque vedesse nelle sue coraggiose scelte di forte impatto sociale l’impronta profetica e credibile della testimonianza.

Lontano dall’idea che ogni forma di sostegno ai più deboli dovesse riassumersi nell’assistenzialismo, il suo progetto di costruzione delle società, anche le più piccole, poggiava sulla centralità della persona e del sistema di relazioni che attorno ad essa si sanno e, prima ancora, si vogliono costruire.

Chi è in situazione di bisogno è quindi a pieno titolo dentro la comunità di appartenenza, portatore di diritti e doveri, fortemente partecipe di un sistema di legami con le altre persone, le istituzioni, il progetto collettivo e il futuro della comunità stessa.

Un’idea, questa, di largo respiro che interpreta il welfare come frutto di responsabilità globale e condivisa. E pensa quindi alla città inclusiva come luogo privilegiato nella costruzione consapevole del benessere collettivo. Ma occorre che il patto sociale che la comunità costruisce poggi sulla reciprocità: l’intervento a sostegno di situazioni di disagio, povertà, solitudine, disabilità non è da ritenersi unidirezionale, unicamente come azione di risoluzione temporanea o protratta nel tempo di un’emergenza o un impedimento prolungato.

Il metro di misura della coesione sociale non si può fermare alla risposta di fronte alle necessità, ma va riferito a quella dose costruttiva di energia collettiva che si riesce a creare attorno al bisogno, a quella risorsa di umanità, di rafforzamento dei legami di vicinato, solidarietà, partecipazione volontaria ai progetti comuni che dentro un territorio si produce in forma spontanea. Il sistema di welfare deve quindi essere in grado di modificare e trasformare il volto di una comunità, non solo mobilitando risorse concrete di intervento, bensì potenziando la ricchezza di solidarietà e di partecipazione alla costruzione del bene comune.

Realizzando quelle che forse don Tonino Bello avrebbe chiamato le “città del grembiule”.

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