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Apologie Paradossali

PACE POSSIBILE

COSTANTE PORTATADINO - 16/11/2018

speranzaS) Avete voluto concludere l’Apologia della volta scorsa sull’ottimismo sognante di Onirio a proposito della possibilità della pace tra le nazioni. Voglio replicare, scusatemi lettori, se lo farò con una decisione che vi sembrerà asprezza.

(O) Non mi nascondevo il fatto di trovarci nel mezzo di una guerra economica veramente mondiale e nemmeno mi nascondo la fondatezza della profezia di Papa Francesco di una guerra mondiale ‘a capitoli’. Tuttavia ti lascio la parola.

(S) È tanto vera l’affermazione di Von Clausewitz sulla natura permanente della guerra, che io oso affermare che la pace, non solo la politica o l’economia, è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Ma dico di più: la logica del conflitto è insita nel sistema stesso della democrazia: della democrazia proprio come tale, voglio precisare, non della demagogia come sua degenerazione, che oggi è tanto facile criticare da parte degli intellettuali, giornalisti compresi. L’idea sottostante alla democrazia è quella di dare valore alla persona dando valore alla maggioranza, cioè al numero,allo scopo di sottrarre potere ai detentori del potere economico materiale (terra, denaro), o immateriale (ideologie, religioni, informazione, sapere). Ma questa impostazione, lungi dall’assicurare la pace, crea un duplice conflitto permanente: quello con ciò che oggi chiamiamo i ‘poteri forti’ e quello interno al campo democratico tra i vari partiti. Si ottiene, al massimo, una moderazione del conflitto all’interno di ogni singolo stato democratico, ma questo lascia ancora aperta la possibilità di conflitto con gli altri stati, magari ugualmente democratici, ma sempre potenzialmente avversari.

(C) Fino a questo punto il tuo ragionamento, Conformi, non fa una grinza, ma è proprio da questo punto che dobbiamo partire. Appurato che non esiste nessun sistema di governo che, in quanto tale, elimini guerre e conflitti sociali, dobbiamo chiederci se cento anni ci hanno insegnato qualcosa di nuovo e di diverso da ciò che ci ha condotti ad un secondo e più grave conflitto mondiale e poi ad una catena lunghissima di conflitti che non ci vergogniamo di chiamare ‘locali’, ma che per i ‘locali’ sono state vere tragedie, dalla Corea al Ruanda, dal Vietnam ai Balcani. Abbandoniamo l’idea che esistano meccanismi istituzionali che ci evitino la fatica di ricorrenti trattative ed accordi politici, dimentichiamoci la ‘pace perpetua’ immaginata da Kant al culmine dell’illuminismo, guardiamo con realismo ai miseri risultati ottenuti dalla Società delle Nazioni e dall’ONU e riconosciamo che la soluzione potrà venire solo dal basso, da un cambiamento di mentalità che coinvolga tutti i popoli fin nel particolare delle singole persone.

(O) Questo è esattamente il mio desiderio e, nel mio piccolo, il mio impegno. Però devo riconoscere una speranza delusa: sognavo che la globalizzazione, susseguente alla caduta della cortina di ferro avrebbe messo in moto un processo di riduzione delle differenze sociali, politiche, culturali, di ogni genere, invece da un po’ sta avvenendo il contrario; la rinascita dei nazionalismi, del razzismo e di altre fonti di divisione sembra doversi imputare proprio alla globalizzazione.

(C) Eccoci arrivati alla domanda difficile: siamo al punto in cui l’interdipendenza di tutte le parti del globo e di tutti gli aspetti della vita è tale che ogni piccolo gesto di una singola persona ha conseguenze effettive per tutto il mondo. Non arriverò a mettere in discussione la legittimità dell’impegno per il benessere della propria famiglia, del villaggio o del quartiere in cui vivo, della realtà d’impresa o di servizio pubblico per cui lavoro, ma salendo più su nella scala delle istituzioni e degli interessi, fino a che punto una competizione è lecita e persino positiva e da che punto diventa una guerra, anche solo economica?

(S) Non più tardi di martedì scorso, in tanti abbiamo assistito alla fiction ‘I Medici’, vedendo l’inevitabile tragica conclusione del conflitto tra la loro famiglia e la loro banca e quelle dei Pazzi; abbiamo visto il popolo passare in un attimo dall’esaltazione degli uni a quella degli altri e all’annientamento degli sconfitti. Ma posso anche aggiungere che il trionfo di Lorenzo ebbe così breve durata che i Medici vennero cacciati da Firenze due anni solo dopo la sua morte, e poi ancora tornarono e furono cacciati in un’alternanza di vittorie e sconfitte, ugualmente tragiche. Quindi la mia conclusione è questa: date retta ai malpensanti, quelli come Giuliano de Medici, che diffidava delle false profferte di amicizia, quelli che come i Romani antichi dicevano “si vis pacem para bellum”, prepara la guerra se vuoi la pace. Accontentiamoci dunque di una pace povera, fatta di piccoli conflitti, ridotti, ammorbiditi. Teniamoci la guerra fredda, l’equilibrio del terrore creato dalle atomiche, il trattato di riduzione degli armamenti, il trattato di non proliferazione nucleare e tanti altre cose minori, piccoli tasselli che non compongono la parola PACE, ma che almeno tracciano una croce sulla parola guerra: pensate se non ci fosse niente di tutto questo.

(C) Vedi Conformi, il tuo ragionamento fino ad un certo punto non fa una grinza, te lo ripeto, ma solo fino ad un certo punto. Nel bene e nel male, per fortuna talvolta, ma altre volte purtroppo, sono sempre le persone a decidere: le grandi masse che influenzano i capi di governo o i capi che guidano le masse, ma sempre le persone, con i loro vizi e le loro virtù. Chi abbia vinto nelle miriadi di casi della storia, l’abbiamo saputo solo quando ha vinto la guerra; negli altrettanti casi dove ha vinto la pace è più difficile attribuire il merito. Però credo di sapere come ha vinto la pace: nei singoli uomini o nei popoli interi non ha avuto il sopravvento la paura o il calcolo dei maggiori benefici o dei minori rischi; c’è stato invece un rapporto di reciprocità che vorrei chiamare RICONOSCIMENTO. È troppo arduo riempire di contenuti particolari questa parola, per analogia la descriverei come una luce che illumina i volti di persone, facendo emergere fisionomie note e rassicuranti, qualcosa che non appartiene a nessuna delle parti, che viene prima di tutti gli interessi e di tutti i calcoli. I cristiani la chiamano SPERANZA, che non è né sogno, né illusione, ma una VIRTU’ da imparare e da coltivare. Speranza è il riconoscimento che Dio viene prima di tutti i mali, i tradimenti e i peccati umani. Per non sembrare il solito cattolico, per meglio spiegarmi, prendo un esempio dalla storia dell’Islam (scusatemi se cito a memoria, in modo approssimativo). Secoli fa sunniti e sciiti erano arrivati alla guerra e non c’era stata nessuna possibilità di accordo, ma il giorno della battaglia uno dei due contendenti, non ricordo quale, fece legare un Corano ad ogni lancia dei soldati. Al momento dello scontro entrambe le schiere si fermarono: nessuno ebbe il coraggio di combattere contro la cosa che avevano di più caro, contro la ragione della loro speranza. Temo che il riconoscimento di questo ‘qualcosa di più importante’ sia oggi assai difficile, persino tra gli stessi islamici.

(S) Figuriamoci tra la Ue e il governo o tra i partiti italiani.

(O) Assai difficile non vuol dire impossibile, la speranza è proprio la virtù che mantiene la volontà tesa al raggiungimento di un bene arduo. Di questo prometto di riparlare, perché riguarda sia i rapporti tra le nazioni, sia i più modesti accadimenti che riguardano le persone.

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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