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Politica

PANETÙN IN TAVOLA

MANIGLIO BOTTI - 14/12/2018

panettoneMangeranno il panettone Matteo Salvini e Gigino Di Maio? La domanda natalizia che è uso porsi, specie nel Nord Italia e nel Milanese a carico più spesso degli allenatori di calcio naviganti in acque di bassa classifica, è legittima. E altrettanto lo è la risposta: sì, lo mangeranno; e magari anche spalmato col mascarpone. La tavola imbandita ma soprattutto le sedie comode e imbottite lo garantiscono.

Con più fatica digestiva, temiamo, lo mangeranno molti italiani i quali – a differenza degli entusiastici sondaggi di una maggioranza felix – cominciano a gironzolare tra i negozi e i banchi dei supermercati con sempre maggiore circospezione. E a guardare con gli occhi sgranati molte tavole imbandite (soprattutto nelle case dei politici anzidetti), tipo la Piccola Fiammiferaia della favola di Andersen, che poi morirà di freddo avendo accanto a sé un mazzetto di fiammiferi spenti e dopo avere sognato invano la nonna.

Stavolta le favole (di cui ancora non si conosce il finale anche se si ha il forte sospetto che il finale non sarà lietissimo) ce le hanno raccontate i personaggi che, con un tracotante, tonitruante e spregiudicato sorriso sulle labbra, stanno per sedersi al desco natalizio.

È forse ingeneroso parlarne, perché bisogna doverosamente dare l’opportunità a tutti di lavorare, di agire e – nel caso specifico – di rispettare i “contratti”. Però un minimo di ragionamento e di bilancio, visto che tra qualche giorno farà il suo ingresso in pompa magna l’anno 2019 e l’horribilis 2018 sarà messo in archivio, è giusto farli. Sei mesi a disposizione e qualche giorno sono già un indicatore utile per valutare. Di solito si parla (e lo si annuncia in campagna elettorale) bastano i cosiddetti “cento giorni” per farsi un’idea, qui siamo già a duecento, più o meno.

In concreto: la campagna elettorale della Lega (non quella dell’intero centrodestra, ed è un bene ricordarlo a un sonnacchioso Berlusconi seduto accanto al focolare: quelle quattro capriole di fumo, per dirla con il poeta Ungaretti) s’è (s’era) incentrata sullo smantellamento della “legge Fornero”, cioè la revisione totale della disciplina dell’andata in pensione (poi corretta, sistemata con vantaggi per i mestieri usuranti, provvedimenti d’urgenza a carico dei trecentomila esodati ecc.ecc.), legge che sarebbe meglio attribuire al presidente del consiglio dell’epoca, Mario Monti, che ogni giorno che passa assurge come a un vero taumaturgo, specialista e competente.

Risultato: aspettiamo il 2019. Ma non si sa bene che cosa accadrà, sebbene accorti calcoli fanno presumere che molti di coloro i quali accederanno alla famosa “quota cento”, se non ”centoquattro”, si dovranno accontentare di emolumenti ridotti. Per una ragione molto semplice e banale: meno sono gli anni di contributi, meno ci si trova in tasca alla fine. Vedremo che cosa accadrà. Per adesso la cosa che più spaventa non è tanto la possibilità di un’andata in pensione “in tempi ragionevoli”, ma il fatto che non sappiamo se fra una ventina d’anni (e siamo ottimisti) coloro i quali decideranno di andarsene, a qualsiasi quota, una pensione ce l’avranno.

La campagna elettorale del Movimento Cinque Stelle (campagna che, come quella della Lega, non s’è mai conclusa) puntava (punta) sul famosissimo e allettante “reddito di cittadinanza”. Anche in questo caso le aspettative sono rimandate o da rivedere. Non s’è mai capito bene chi, come, dove, quando, per quanto tempo e perché lo percepirà, questo benedetto reddito di cittadinanza. Finora, a quanto si sa, pare trattarsi di un “aiuto ai poveri” (specie i giovani del Sud che non trovano lavoro). Ma il lavoro, a quanto si vede, continuerà a non esserci, come il coraggio di Don Abbondio: chi non ce l’ha non se lo può dare. Viene da sorridere al fatto che il reddito viene cancellato dopo tre proposte di lavoro. Quando mai. Del resto, con un reddito di cittadinanza, manco si sarebbe indotti a inventarselo, il lavoro. Tanto ci pensano gli altri.

In sei mesi, invece, su altri fronti che nel contratto non erano stati bene definiti qualcosa di concreto s’è toccato. Extracomunitari e Rom sono stati indicati come i colpevoli di una non-sicurezza nel Paese. Sgomberi e blocchi navali. Poveracci allo sbando. Ma forse i mafiosi si stanno fregando le mani dalla gioia. I i Casamonica, sfrattati, stanno costruendo altrove, quindi saranno lasciati in pace.

Il ministro delle infrastrutture, il simpatico per le battute e per i gesti che fa, ma del tutto inadatto al suo concreto ruolo, Danilo Toninelli, sembra che si sia scavato la fossa con le sue mani, tant’è che infrastrutture per adesso sembra che non se ne profili all’orizzonte nemmeno una. Sempre utili gli studi di “costi e benefici”. Uno all’anno.

I rapporti con gli altri stati – e qui siamo alla politica estera da tutti gestita tranne che dal ministro deputato all’incarico – non sono ottimi. Anzi, non si capisce nemmeno se vi siano rapporti. Lasciamo stare i cinesi o i russi, che molto probabilmente un giorno ci acquisteranno in blocco, e forse qualcuno non vede l’ora… Con gli Usa non si sa: da una parte li ospitiamo con le loro basi militari, da un’altra facciamo comunella con il loro presunto avversario; l’Europa intera (anche i presunti amici) ormai ci vede e ci considera come il “figlio scemo”.

Avevamo dimenticato a proposito del panettone di dire se lo mangeranno il presidente del consiglio, l’evanescente Giuseppe Conte, e il ministro del Tesoro dell’economia e delle finanze (quali finanze?) Giovanni Tria. Se loro lo mangeranno o no, in fondo, non è nemmeno una cosa importante.

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