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Cultura

REGINA DELLE NEVI

BARBARA MAJORINO - 01/02/2019

reginaÈ cominciata ad arrivare la neve di stagione, un bianco e lieve velo di cui si sentiva la mancanza. Quando esistevano le quattro stagioni ben distinte, e cioè prima che il clima si modificasse, non amavo molto l’inverno. Ora invece mi manca la brina, mi manca la galaverna, ma soprattutto mi manca la neve. Pertanto ho salutato con gioia quello “sciame di mosche bianche impazzite” che volteggiava e veniva a posarsi sul parabrezza dell’auto sciogliendosi sotto i colpi del tergicristallo, mentre ero alla guida. Nel contempo, mi chiedevo dove avessi pescato quella similitudine sui fiocchi. E allora le reminiscenze di una fiaba invernale e nordica sono emerse in filigrana dagli scaffali della mia memoria.

“La Regina delle Nevi” del favoloso Andersen è e permane una fiaba di grande impatto emozionale. Leggerla ai bambini suscita sempre una grande attrazione. Ma non è specificamente destinata all’infanzia: si tratta in realtà di una fiaba concepita per un pubblico dagli 8 agli 80 anni e oltre, capace di sedimentarsi in modo permanente nei nostri ricordi.

L’interesse appassionato per questa fiaba nasce dal riconoscimento della sua ricchezza simbolica: la scheggia di ghiaccio che si conficca gelando i cuori rappresenta la metafora dell’esistenza umana sempre più votata alla razionalità. Il bacio di ghiaccio della Regina delle nevi sottrae lo stupore dell’infanzia e allora ecco che la razionalità domina l’esistenza, sottraendo i sentimenti. La fiaba ci mette davanti alla sofferenza degli uomini che, nel cercare di proteggersi, rinunciano ai sentimenti abbandonandosi ad una forma diversa di sofferenza, sterile ed inutile: l’indifferenza e la freddezza.

 Kay e Gerda sono i due piccoli protagonisti che dovranno vivere un viaggio iniziatico non esente da rischi. Perdendosi per poi ritrovarsi e rinnovare la loro amicizia. Le immagini che la lettura di questa fiaba ci lascia impresse nelle memoria sono fatte di sortilegio, meraviglia, voglia di scoprire paesaggi incantati come la Norvegia, la Lapponia, la Finlandia.

Tutti ricorderanno l’incontro fatto di fascinazione tra il piccolo Kay e la Regina delle Nevi, bella e altera sulla sua slitta, avvolta nel suo manto bianco di pelliccia, con colbacco e manicotto e coi suoi occhi cerulei come il riflesso della neve sotto le luci del Nord. Una sorta di Bella Dama delle pianure innevate simile a quelle descritte dal poeta russo Alexandr Blok, il cui bacio glaciale è fatale al piccolo che viene rapito e separato dai suoi affetti familiari. Bellezza, fascino, solitudini e algore, non si oppongono tra loro, e rappresentano alcuni degli archetipi letterari, già a partire dalla letteratura fantastica destinata all’infanzia.

Il viaggio nella slitta al castello dei ghiacci della Bella Dama è accompagnato da un turbinio di fiocchi di neve, simili a “sciami di mosche bianche impazzite”, quelli che Kay guardava incantato dai vetri della sua finestra di casa.

 Gerda che parte alla ricerca dell’amico Kay, ci condurrà con sé in un’atmosfera paesaggistica suggestiva. Cammin facendo, incontreremo personaggi eterei e fantastici che ci faranno vivere momenti di intensa poesia attraverso uno straordinario viaggio che è insieme geografico e sentimentale. Le lacrime brucianti della piccola Gerda alla vista dell’amico, scioglieranno la scheggia nell’occhio di Kay; ma anche il suo cuore indurito e reso gelido dall’essere ostaggio della bella Regina senza pietà, che lo separa dai suoi affetti. Poi il ritorno: le ghirlande di rose che si intrecciano dai loro terrazzi, quelle rose profumate che Kay non ha mai dimenticato, nemmeno quand’era prigioniero nello splendido Palazzo dei Ghiacci dove si baloccava con freddi giochi geometrici, nonché la mitezza della primavera ritrovata, segnano il ritorno alla vita, ai giochi dell’infanzia, e al sentimento dell’amicizia con Gerda.

 Come in tutte le fiabe e i racconti di magia, il lieto fine è assicurato e il piccolo Eroe può tornare a casa, non prima, però, di aver affrontato un viaggio di iniziazione alla vita, nel quale dovrà assumersi i suoi rischi.

 La “Regina delle Nevi” fa parte, insieme a “Scarpette Rosse” (altra grande fiaba da cui hanno tratto uno splendido film di Powell e Pressburger), ” L’Usignolo dell’ Imperatore” e a “La Sirenetta”, della quadrilogia delle grandi indimenticabili fiabe dell’autore danese. Nulla a che vedere con le facili e accattivanti versioni animate Disney in cui la Sirenetta in fondo al mare si mette a fare un bel balletto tra i pesci, in stile musical hollywoodiano.

 Il magico Andersen è altra cosa e le sue storie sono pervase da tutt’altra aura di mistero, una suggestione che perdura intatta nel tempo, fino ai nostri giorni.

La Regina delle Nevi, è fiaba composta in 7 episodi che sono altrettante tappe di un viaggio dei due piccoli protagonisti nel meraviglioso. Ci sono infinite versioni di cartoni animati (giapponesi, inglesi, finlandesi, dell’Est), balletti classici ispirati a questa storia, ma nessuna di queste versioni, a parer mio, riesce ad eguagliare l’originale del testo letterario. L’immaginifico lo ricrea la nostra fantasia e il nostro inconscio, durante la lettura o l’ascolto. Complici forse, i paesaggi innevati del Grande Nord dove la sera si sta accanto ad un cammino con tizzoni ardenti, a raccontare e ad ascoltare storie. Le fiabe di magia, quelle popolari e quelle d’autore (come le citate di Andersen) sono distillati di saggezza e ci inducono a considerare che un popolo senza miti e fiabe, è un popolo morto o depauperato dei suoi valori fondanti. Andersen credeva in ciò che magicamente si animava nelle trame che viene man mano dipanando, sorridendone, ma ugualmente convinto della loro “possibile” esistenza in un mondo governato, in fondo, da una benigna volontà provvidenziale che finisce col mettere tutto a posto.

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