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Molina Gallery

TRANQUILLA SERENITÀ

PAOLA VIOTTO - 22/03/2019

de-bernardi-newIl paesaggio ha sempre occupato un posto di rilievo nelle scelte dei collezionisti privati. Soprattutto tra Ottocento e Novecento si diffuse tra la borghesia europea l’idea di creare abitazioni che unissero armoniosamente arredamento, opere d’arte e oggetti di alto artigianato, fino a giungere alla creazione di vere e proprie case-museo, luoghi di vita e insieme concretizzazione del gusto raffinato dei proprietari.

Il patrimonio della Fondazione Molina, erede di importanti collezionisti lombardi, riflette queste tendenze del gusto. Nel corso degli anni altri dipinti di paesaggio si sono aggiunti al nucleo iniziale, sia grazie a donazioni successive, sia per commissione diretta di opere agli artisti, allo scopo di qualificare gli spazi in cui si svolge l’attività dell’Ente. Grazie a scelte molto precise queste tele sono in gran parte opera di artisti legati in vari modi al territorio varesino.

Tra questi troviamo Domenico De Bernardi, originario di Besozzo, dove è nato nel 1892 e morto nel 1963. Come Lodovico Cavaleri, che influenzò i suoi esordi in campo pittorico, anche De Bernardi si dedicò inizialmente a studi d’altro genere. Era infatti iscritto alla facoltà di ingegneria quando decise di abbandonare gli studi per dedicarsi totalmente alla pittura. Sostanzialmente autodidatta, non frequentò l’Accademia ma si ispirò agli esempi degli artisti del suo tempo.

La sua formazione si compì nel solco del paesaggismo lombardo all’inizio del Ventesimo secolo, erede di una grande tradizione di naturalismo capace di guardare con occhi attenti e partecipi anche alla realtà apparentemente più banale. La sua presenza alla Biennale di Venezia del 1920 con un quadro intitolato “Nebbia” suscitò interesse e approvazione. Da quel momento la sua carriera conobbe numerosi successi, con esposizioni in manifestazioni importanti, gallerie prestigiose e sedi internazionali. Nel suo lavoro ricorre spesso il tema del rapporto tra ambiente naturale e modernità: la fabbrica, la ferrovia, il crescere delle città negli anni del regime fascista. Non a caso in occasione della Biennale del 1930 ricevette il premio “Lavoro nell’industria” con il dipinto Costruzioni. Lavori della nuova stazione FF.SS. Milano. Negli anni Trenta fece anche un viaggio in Libia, da cui riportò un gusto più vivo del colore; si avvicinò poi al gruppo di Novecento e alla sua ricerca di sintesi. Ma la passione mai sopita per la terra d’origine, per i paesaggi di lago e di collina, riemerse con forza nel dopoguerra, insieme ad un tono più intimistico.

La collezione Molina possiede una Veduta del Lago di Varese che ben esemplifica questo versante più pacato e famigliare dell’attività del pittore. In primo piano la riva, con alberi e qualche sparso casolare. Sullo sfondo il profilo delle colline sotto un cielo percorso da nuvole. In mezzo il profilo dell’Isolino, con il suo riflesso nell’acqua. Dominano i toni del verde, del grigio e dell’azzurro, i colori del lago e della nebbia. Pochi, essenziali, contorni scuri e marcati definiscono le masse delle colline e i volumi bianchi delle case, con una tecnica tipica della litografia. Apparentemente semplice e spontanea, la composizione appare invece sapientemente costruita attraverso direttrici diagonali. In questo modo l’occhio dello spettatore viene dapprima guidato verso la riva del lago, dove il punto più basso è segnato dall’aprirsi a ventaglio di un cespuglio. Poi viene accompagnato sulle acque immobili del lago fino alla riva opposta e infine invitato ad alzarsi verso le cime. Tutta la parte destra dell’inquadratura resta invece indistinta, tra macchie di colore in cui si confondono la vegetazione e i volumi delle case. Un clima di tranquilla serenità domina la scena, in cui la presenza umana è soltanto sottintesa, come se il pittore avesse colto un momento sospeso nel tempo.

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