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Attualità

IUS SANGUINIS

MANIGLIO BOTTI - 05/04/2019

cittadiniTra gli appellativi di carattere sociale storici e no – tipo il camerata fascista, il compagno comunista o socialista o semplicemente facente parte di un’assemblea del Movimento studentesco, il collega, l’amico democristiano (di una volta)… – il titolo di “cittadino” è quello che potenzialmente racchiude in sé il maggior numero di diritti. Non è un termine anodino: non a caso entrò nell’uso durante la Rivoluzione francese per distinguere proprio il cittadino-persona dal suddito. Che poi, a un certo punto, tra cittadini (ma è accaduto anche tra camerati o compagni) ci si tagliasse la testa, è tutto un altro discorso.

La polemica – suscitata anche da un susseguirsi di dichiarazioni talora appropriate talora ridicole – sull’attribuzione del titolo di cittadinanza italiana a Ramy e a Adam, egiziano il primo, marocchino il secondo, i giovani che grazie alla loro prontezza e al loro coraggio sono stati in grado, dal pullman scolastico sequestrato da un folle criminale (italiano vero per avere sposato un’italiana ma di origini senegalesi), di chiamare i carabinieri e i genitori con il telefonino tenuto nascosto, lascia un po’ il tempo che trova. La polemica s’è rivelata un escamotage mediatico più o meno strumentale, a seconda dei fini.

Ramy e Adam sono ragazzi in gamba. Come probabilmente altri ragazzi della loro età, qualora ne avessero la possibilità. Lo sono indipendentemente da tutti i dibattiti sullo ius soli, che sarebbe la fonte del diritto su cui ci si potrebbe basare per attribuire loro la cittadinanza italiana, essendo nati e vissuti sul nostro territorio ma da genitori stranieri, o sullo ius sanguinis, cioè il diritto che appartiene a chi nasce in Italia da (almeno uno) genitori italiani. Impossibile tuttavia non essere d’accordo con chi – per esempio il giornalista Ezio mauro – ha dichiarato, semplicemente, che il diritto di cittadinanza, non è un “premio” ma, appunto, un diritto. Quindi, non si concede come un gelato ma si riconosce. Perché anche un cieco si renderebbe conto che la differenza tra il giovane Ramy, il giovane Adam, che in Italia sono nati da genitori che qui lavorano e pagano le tasse, che giocano all’oratorio con gli amici italiani, che probabilmente costituiranno in Italia a breve la loro famiglia, con i loro coetanei è pressoché nulla, se non forse per la religione, per il colore della pelle, per i gusti sessuali e così via. Cinque, anche dieci anni sono schizzi del tempo, fugaci squarci di luce nella vita e anche (soprattutto oggi) della politica.

Tutte cose queste, come i richiami all’uguaglianza, sono bene indicate dalla nostra Costituzione. La quale – come simbolo e significato di una “nuova” patria – secondo taluni autorevoli legislatori i meritevoli del “diritto di cittadinanza” i ragazzi “integrati” dovrebbero dimostrare di conoscere. Ma sarebbe anche curioso e interessante fare un’indagine tra tutti i giovani che concludono un ciclo superiore di studi circa la loro conoscenza della Costituzione, ius sanguinis o no, dato che non è materia ufficiale di studio e spesso nemmeno di interesse…

E non è difficile, altresì, rendersi conto di come Ramy, Adam e migliaia di altri coetanei nati e cresciuti in Italia, meriterebbero a buon diritto il titolo di cittadini, forse più di certi calciatori abili e arruolati come italiani perché, nati in Argentina o in Brasile, hanno avuto qualche bisnonno o trisnonno di Rovigo o di Matera. Anche di più di certuni (non tutti) che, per corrispondenza, sono iscritti nei nostri registri elettorali e votano. Talvolta conoscendo l’Italia solo perché sono venuti a farvi qualche settimana di vacanza. Come un qualsiasi droghiere di Francoforte o di San Pietroburgo.

Dice: ma la cittadinanza si può anche attribuire per meriti speciali. È capitato, anche in molti Comuni del nostro Paese, docilmente appecoronati negli anni Trenta, di conferire addirittura (quella della nazione dovrebbe essere un po’ diversa) la cittadinanza onoraria a personaggi bene assisi a Palazzo Venezia, per poi toglierla rapidamente oggi, come se fosse una vergogna. E per certi versi lo fu: una vergogna storica, che però non si cancella con un tratto di penna.

Dunque, la cittadinanza si può attribuire come premio oppure discuterci su e fare mille discorsi sull’integrazione, sull’italianità e così via. Per chi ancora ci crede. E se ne fa (ormai è una moda che annebbia altri problemi) materia elettorale, dentro o fuori dai “contratti” come se fosse una questione esiziale, di vita o di morte.

Anche il buon senso e la ragione sono finiti in quel tunnel di montagna che, ancora, non si sa se si farà. Vedremo o ci vedremo, come dice Ligabue in una sua canzone famosa: prima o poi.

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