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Spettacoli

GARY COOPER, L’ULTIMO SCERIFFO

MANIGLIO BOTTI - 24/03/2012

Giusti sessant’anni dopo, sono da ricordare alcune curiosità del western più famoso di ogni tempo “Mezzogiorno di fuoco” (High Noon), il film che il regista naturalizzato americano, ma di origini austriache, Fred Zinnemann (1907-1997) girò nel 1952 con Gary Cooper (1901-1961) e Grace Kelly (1929-1982).

La prima, e più importante, è la sua unità di luogo, di azione e – soprattutto – di tempo: il film dura un’ora e mezzo circa e racconta una storia che, appunto, si svolge nell’arco breve di una mattinata, dalle dieci e trenta a mezzogiorno.

La trama è nota: Will Kane (Gary Cooper), sceriffo di Hadleyville, negli anni successivi alla guerra di secessione, sta per lasciare la cittadina insieme con la giovane moglie Amy (Grace Kelly). Ma è proprio in questo momento che riceve la notizia secondo cui con il treno di mezzogiorno arriverà Frank Miller, un criminale che qualche tempo prima aveva catturato e assicurato alla giustizia: Miller è stato incredibilmente graziato e vuole tornare per vendicarsi. Alla stazione ad aspettarlo ci sono già alcuni suoi vecchi complici, pronti a dargli man forte.

Per più di un’ora lo sceriffo, ancora in carica, gira tra gli amici o ex amici del paese per cercare aiuto e per costituire una squadra di agenti. Via via tutti lo abbandonano. Soltanto il vice Harvey (Lloyd Bridges) starebbe con lui, a patto di essere aiutato a sua volta a ottenere la carica di nuovo sceriffo; Will Kane – onesto, orgoglioso, tutto d’un pezzo – non accetta. Anche la moglie Amy, quacchera, che detesta la violenza e le armi, sta per abbandonarlo al suo destino. Ma sarà proprio lei, alla fine, su incitamento di Kane Helen Ramirez (Katy Jurado), la ex di Will, a sostenerlo, a uccidere uno dei banditi e a far sì che il marito riesca a vincere il duello finale con Frank Miller.

Chi scrive, alla fine degli anni Cinquanta, insieme con un nugolo di ragazzini coetanei, poté assistere alla proiezione di “Mezzogiorno di fuoco”, presentato in terza o quarta visione ai giovani soci della società Dante Alighieri nella mattinata di una domenica al cinema Politeama: del film, dunque, cominciato poco dopo le dieci, si poté apprezzare l’intera unità di azione e di tempo, come se si fosse tutti presenti nel villaggio di Hadleyville.

Di “Mezzogiorno di fuoco” è memorabile l’ultima scena, quando lo sceriffo Will Kane, sporco e leggermente ferito a un braccio, prima di salire sul calesse che porterà lontano lui e Amy, si strappa la stella dal petto e la getta nella polvere in segno di disprezzo verso gli abitanti che l’avevano tradito e lasciato solo. Qualcuno ha voluto vedere in questa sequenza una critica al maccartismo imperante in quegli anni a Hollywood, quindi una sottolineatura della pavidità e della miseria umana di molti. Può darsi. Più in generale il disprezzo di Will pare assimilabile a quello di Paolino Mentasti, uno dei personaggi del romanzo “La spartizione” di Piero Chiara nel momento in cui nottetempo è costretto ad abbandonare una Luino ipocrita e bigotta.

Il film – che oggi come s’è detto compare nella lista delle migliori opere americane di ogni tempo – fu strapremiato: a Gary Cooper andò l’Oscar come miglior attore protagonista. Memorabile, e pure premiata con l’Oscar, fu la colonna sonora di Dimitri Tiomkin e la canzone “Do not forsake me, oh my darling” (High Noon), per lungo tempo nelle classifiche nell’interpretazione di Frankie Laine. Il regista Fred Zinnemann, del quale all’inizio, essendo di origini europee, era stata ventilata una presunta non perfetta adesione agli ideali del West e dell’America, si rivelò invece uno dei più grandi autori di Hollywood, bene in linea con la tradizione. Anche la forte differenza di età (quasi trent’anni) tra i due protagonisti – Gary Cooper e Grace Kelly – poco credibili come marito e moglie fu al contrario bene accettata e applaudita.

Ancora, si disse che l’Oscar venne attribuito a Gary Cooper, già molto famoso, quasi come un premio-riconoscimento hollywoodiano per essere tornato nei ranghi, per essersi “rimesso in riga” dopo una tormentata e contestata relazione con Patricia Neal. È più vero pensare a una grande, grandissima interpretazione.

Il film era ed è straordinario: è rimasta negli annali la tensione sottolineata dall’orizzonte bianco e senza nuvole (High Noon fu girato in bianco e nero), attraversato dai binari della ferrovia, e scandita dall’inesorabile trascorrere dei minuti. Gary Cooper, del resto, anche nella vita era lo sceriffo Will Kane. La giornalista pettegola Hedda Hopper, che di Cooper fu sempre amica, scrisse: “Ho conosciuto da vicino tutti i ‘grandi’ di Hollywood, e in ognuno di loro ho scoperto lati negativi: presunzione o meschinità, invidia o depravazione. Uno solo non ha mai deluso sul piano umano: Gary Cooper…”. Gary, prima di High Noon aveva già girato un centinaio di film e aveva già conquistato un Oscar. Ma per tutti resta di lui indelebile l’immagine dello sceriffo Will: allampanato spilungone (era alto più di un metro e novanta), camicia bianca e cravattino, cappello, panciotto e pantaloni neri, mentre cammina nella main street di Hadleyville. All’appuntamento di mezzogiorno.

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