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Apologie Paradossali

I SANTI, GLI EROI

COSTANTE PORTATADINO - 18/10/2019

Il premio Nobel per la pace Abiy Ahmed Ali e san John Henry Newman

Il premio Nobel per la pace Abiy Ahmed Ali e san John Henry Newman

(O) Una settimana ricca di riconoscimenti importanti, a nuovi santi e contemporaneamente a nuovi premi Nobel, che secondo te tendono a costituire una nuova categoria di santi-laici. I vecchi saranno sostituiti da questi nuovi o resteranno confinati nel recinto del sacro o saranno ancora segni di virtù anche per i non credenti?

(S) Io però vi faccio notare che un mese fa, nell’Apologia intitolata “Riconoscere i segni”, Costante aveva rifiutato piuttosto recisamente l’assimilazione tra i santi del cattolicesimo e quelli della laicità, rivoluzionari o meno. Anzi, aveva contestato la definizione contemporanea, tratta dall’Enciclopedia Einaudi.

(O) A me sembra che abbiamo bisogno anche, (non solo) di questo nuovo tipo di santi. So già che Sebastiano non sarà d’accordo, che pensa che i contrasti sociali e politici non vanno appianati con la mediazione razionale ma con la fede e con le virtù morali. Lui, diciamocelo, è un po’ integralista.

 (C) Beh, le differenze sono enormi. La più evidente, anche un po’ banale è che la Chiesa fa i santi solo dopo che sono morti da parecchio tempo, e soprattutto, il loro ‘miracolo’ devono ‘farlo’ proprio da morti. Il che significa che non sono loro a farlo o ad averlo fatto in vita, ma si tratta di un segno che Dio stesso concede, più a noi che restiamo che non a loro, ‘assunti alla gloria degli altari’. I premi Nobel invece sono sempre assegnati a viventi e consistono non solo nella gloria, ma anche in un cospicuo premio in denaro. Quindi premiano un’attività ben precisa ed esprimono tuttavia una particolare approvazione all’operato del premiato nel suo specifico campo di azione. Per questo osservavo e ripeto, che la definizione di ‘santo’ dell’Enciclopedia Einaudi si attaglia molto di più ad uomini, magari buonissimi e ben intenzionati, ma soprattutto di successo. Proviamo a ripeterne la parte principale: “una forza d’integrazione in grado di eliminare conflitti, di dare significato alla marginalità di certi gruppi, di rendere tollerabili la povertà o la differenza tra le classi, di procurare spesso, direttamente o meno, consenso alle istituzioni e di risolvere la dicotomia ordine-disordine”. Mi sembra la definizione perfetta per i Nobel, specialmente quelli con caratteristiche meno scientifiche, quelli per la pace, per l’economia e per la letteratura.

(O) Quest’anno sono particolarmente coincidenti con questa intenzione quello per la pace e quello per l’economia, mentre quello per la letteratura ha suscitato polemiche, anzi è stato molto divisivo. Confesso di non aver letto nulla di Handke, ma se effettivamente ha giustificato i crimini di Milosevic, non sarebbe meritevole di un premio Nobel. Che cosa mai potrebbe aver scritto di illuminante per l’umanità? Non che i letterati debbano esprimere sentimenti ed idee conformi al potere dominante; ricordo il caso contrario di Pasternak, perseguitato dall’Unione Sovietica (e non era più il tempo di Stalin), ma mi piacerebbe che almeno la letteratura possa servire veramente ad unire i popoli.

(S) Dicci qualcosa dei premi Nobel per la Pace e per l’Economia. Sarai almeno contento che nessuno dei due è arrivato a Greta Thunberg!

(C) Le mie critiche non riguardano la persona, ma un sistema mediatico. Non avete notato che da un po’ di tempo le adolescenti usate nella pubblicità tendono ad assomigliare a Greta? Ma il dubbio è: la pubblicità scimmiotta Greta o, al contrario, ha lanciato Greta come immagine perché corrisponde ad un modello di ‘giovane’ facilmente contrapponibile, con pieno successo, direi, al mondo immobile degli anziani? Ma lasciamo perdere, sono quisquilie.

Sono invece contento che il Nobel per la Pace sia andato ad un Africano, il Primo Ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, autore della pace con l’Eritrea, lungamente auspicata punto culminante di un veloce percorso riformistico. Qualcuno ha criticato il fatto che il riconoscimento non sia stato assegnato anche al suo omologo il presidente eritreo Isaias Afwerki, con cui firmò nel luglio 2018 una dichiarazione che pose fine allo «stato di guerra» fra i due Paesi. Ma rimane, credo giustamente, una sostanziale differenza: Afwerki si presenta come il classico dittatore africano ‘vecchio stampo’, imbevuto contemporaneamente di tribalismo e di superficiale marxismo, mentre il riformismo di Ably Ahmed Alì gli valse l’appellativo di Gorbociov africano. Quando, lo scorso 28 febbraio, Jeune Afrique pubblicò il suo ritratto intitolato «Abiy Ahmed, l’uomo che cambierà l’Etiopia», scrisse che il premier è «determinato a lasciare una traccia nella Storia. Insomma, un modello per le giovani democrazie africane.

Quanto ai tre premiati per l’Economia, devo dire che si tratta di una scelta interessante, sebbene non sia la prima volta che il Nobel cerca di valorizzare esperienze di autopromozione economica di paesi poveri. Si tratta dell’indiano Abhijit Banerjee, di sua moglie Esther Duflo e dello statunitense Michael Kremer. L’approccio sperimentale sul campo, da loro praticato, in luogo di elaborazioni astratte e puramente teoriche in campo scolastico e sanitario, ha sfatato il mito banale che la lotta alla povertà sia da combattere prevalentemente con sussidi in denaro, anche se si si tratta di istruzione o di sanità, quando invece il problema più importante è la costituzione di una capacità del soggetto (chiamatelo pure ‘capitale umano’ se così vi pare più chiaro). Pare che Modi, l’attuale dominatore della politica indiana, non abbia gradito le loro critiche, tentato com’è dall’attuare una politica di ‘ grande potenza’, quale visibilmente l’India comincia a diventare sul piano economico, grazie alla forza del numero.

(O) Modi invece ha molto gradito la proclamazione a santa di una suora indiana: Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan. Fondatrice della Congregazione della Sacra Famiglia e considerata una personalità che ha promosso lo sviluppo insieme religioso e civile del suo Paese, specialmente per e attraverso le donne e la famiglia. Per ogni indiano “è un fatto d’orgoglio che papa Francesco proclamerà santa sr. Mariam Thresia” ha dichiarati Modi, fatto tanto più singolare in quanto il suo governo ha fatto dell’induismo tradizionale e della sua opposizione ad ogni forma di proselitismo, cristiano, musulmano o buddista, una vera e propria bandiera, direi quasi di guerra. Ciò significa che è giusto ripetere che i santi uniscono tutti, laddove i potenti e quasi sempre anche gli eroi, uniscono alcuni solo alcuni, divedendoli da tutti gli altri e suscitando ostilità almeno di pari numero e forza dei consensi.

(S) Come succede in Italia, va per la maggiore chi divide e nemmeno si accorge che la sua prepotenza finisce per favorire anche la più improbabile coesione dei suoi avversari. Basta chiamarsi Matteo.

(C) Torniamo dunque ai nuovi santi, tutti molto significativi. Giuseppina Vannini è l’unica italiana, fondatrice delle figlie di San Camillo, attiva nella carità ospedaliera. Di nazionalità svizzera invece Margherita Bays, figlia di contadini e che svolse l’attività di sarta per tutta la vita, ci rivela un tipo di santità decisamente opposto alla logica dell’ eroina. Alle prese con una vita familiare difficile, fu terziaria francescana e come ha detto papa Francesco, “ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa”. Dulce Lopes Pontes, della Congregazione delle Suore Missionarie dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio, è la prima santa nata in Brasile.. Una storia, la sua, che ricorda quella di Santa Madre Teresa di Calcutta per l’impegno in favore degli ammalati e la fondazione di un ospedale ricavato dal pollaio del suo convento.

(S) D’accordo, begli esempi, un po’ originali, una sarta svizzera, la prima brasiliana, una suora indiana che scuote Modi. Ma vorrei sapere di più di Newman e del significato della presenza del principe Carlo alla canonizzazione.

(C) Hai ragione a dire che la canonizzazione del card. John Henry Newman è un evento veramente importante per la teologia e per l’Inghilterra. Carlo ha pubblicato un articolo nientemeno che sull’Osservatore Romano (Lui, destinato ad essere il capo della Chiesa Anglicana, anche se non per gli aspetti propriamente ecclesiali); eccone il tema principale: “le persone di tutte le tradizioni che cercano di definire e difendere il cristianesimo si sono scoperte grate per il modo in cui egli ha riconciliato fede e ragione e coloro che cercano il divino in quello che potrebbe apparire come un ambiente intellettuale sempre più ostile trovano in lui un forte alleato che ha sostenuto la coscienza individuale contro un soverchiante relativismo”.

Come sacerdote e teologo anglicano aveva animato il Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica. La della verità lo aveva fatto infine convertire, a 44 anni, al cattolicesimo. Entrato a far parte della Congregazione di San Filippo Neri, si stabilì a Birmingham, fondandovi un Oratorio. Qui non rifiutò di occuparsi della miseria degli slums, in una realtà ecclesiale dove pochi erano quelli che si erano potuti permettere un’istruzione. Ma i contributi più importanti al rinnovamento del cattolicesimo restano indubbiamente quelli storico-filosofici.

Con scrupolo storico studiò i primi secoli della storia cristiana, venendo costretto dai fatti a riconoscere nella Chiesa di Roma l’autentica continuazione della Chiesa apostolica e delle prime comunità cristiane, rifiutando il preteso traviamento ad opera del potere imperiale e della supremazia pontificia. Questa fu certamente una delle molle che ne provocarono la conversione al cattolicesimo. Forse ancora più importante, certamente più difficile da comprendere è il nucleo del suo pensiero filosofico, racchiuso nel saggio ‘La grammatica dell’assenso’, in cui esplicita gli antecedenti e i vari aspetti della conoscenza per fede, vista come il culmine dell’esperienza umana, quando è sorretta e non contrastata dalla ragione. Questo è un contributo particolarmente prezioso, per il periodo in cui comparve, ma tanto di più ora, per l’aiuto dato alla teologia e in senso ampio alla cultura cattolica, a non restare prigioniera di un razionalismo astratto e gelido, mentre la massa del popolo cristiana, non accontentandosi più di una fede tradizionale, ha necessità di comprendere e di appassionarsi all’insondabile mistero dell’esistenza e a svelarne il significato attraverso la propria stessa esperienza.

(O) devo farti notare che veramente i santi canonizzati domenica scorsa, soprattutto Newman, corrispondono al tuo ideale di segno provvidenziale dato da Dio al nostro tempo, ma tuttavia rispondono molto bene, direi molto meglio degli ‘eroi’ contemporanei, a quelle necessità laiche di integrazione, di risoluzione di conflitti, di superamento della dicotomia disordine-ordine di cui diceva l’Enciclopedia Einaudi. C’è ancora un grande bisogno di santi, capaci soprattutto di parlare al nostro tempo.

(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante

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