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Noterelle

L’UMBRELATA

EMILIO CORBETTA - 29/11/2019

ombrelliOgni tanto figure del passato si riaffacciano vivaci tra i numerosi ricordi: vicino a casa mia c’era “l’umbrelata”. Una signora molto riservata, gentile, vedova, che arrotondava le magre entrate familiari aggiustando ombrelli. Conduceva vita dignitosa, molto austera, con frequenti difficoltà di bilancio per cui le due figlie, appena giunte in età, dovettero cercarsi un lavoro per mandare avanti la famiglia.

Impensabile oggi trovar da vivere aggiustando ombrelli che, sempre più fragili, finiscono la loro breve vita nella spazzatura. Li trovi a poco prezzo nei supermercati o li vedi smerciati nelle giornate di pioggia da numerosi extra comunitari, specialmente senegalesi che amano il piccolo commercio.

Caratteristica comune di questi oggetti, come detto, è la fragilità ma che è tale per cui viene il sospetto che sia realizzata ad arte. Secondo me, bisogna essere dei veri geni per costruire questi utili strumenti con la sublime capacità di sfasciarsi e, oltre tutto, tali che si rompano non subito ma dopo qualche giorno, dopo un programmato minimo numero di volte che vengono aperti. Che ci venga incorporato un sistema ad orologeria che li fa collassare a comando? È normale che l’evento si realizzi in concomitanza di un acquazzone, per cui una bella lavata è assicurata. Viene anche il sospetto che la lavata sia in funzione del prezzo: spesa bassa lavatona; spesa media lavatella, spesa alta lavatina.

Al giorno d’oggi con questi articoli sì deboli la mia signora “umbrelata” avrebbe avuto una occupazione lavorativa più vivace ed economicamente avrebbe avuto vita migliore se non ci fosse la concorrenza del sacco della spazzatura: con prezzi così bassi non vale la pena aggiustarli. Si potrebbe addirittura ipotizzare di creare distributori automatici di ombrelli, magari fuori dalle stazioni, fuori dall’ufficio anagrafe del Comune, o delle Poste o di fianco ai distributori di sigarette delle tabaccherie oppure a quelli di alcune farmacie … beh! Non facciamoci prendere la mano da questo progetto.

Pensiamo invece all’economia di quei tempi che permetteva di vivere aggiustando gli ombrelli. Era un vivere comunque stentato che si basava anche sulla potenza vocale di questi artigiani professionisti che urlavano per le strade “l’umbrelat!! Ghe scià l’umbrelat”, grido meno frequente rispetto al “strascéé” che raccoglieva anche “i pel de cuniìli” (non si sprecava nulla) o al “magnian” aggiustatore di pentolame, o “el mulitta” che affilava forbici e coltelli.

Gli ombrellai per la maggior parte venivano dal famoso paese di Gignese – dove vengono ancora ricordati con manifestazioni e dove c’è anche il museo dell’ombrello-, pittoresco villaggio sito sulle colline piemontesi ai piedi del Mottarone i cui uomini d’inverno, fermi i lavori degli scoscesi campi, abbandonavano il loro panorama del lago Maggiore e passavano da paese in paese offrendo la loro capacità d’aggiustare gli ombrelli, che non tutti potevano permettersi d’avere: questo semplice oggetto aveva allora anche un significato sociale ed il suo uso come parapioggia nelle nostre contrade si è diffuso circa a metà 800, ma solo per chi poteva permetterselo. Non solo da noi ma anche all’estero: celebre l’immagine dell’uomo d’affari londinese con la cartella in una mano, l’ombrello nell’altra e la “bombetta” in testa. Come parasole lo usavano invece le signore, come testimoniano i quadri degli impressionisti, tra cui famosi quelli di Monet, riprodotti in numerosi “poster” dalla grafica del 900.

La nostra umbrelata ovviamente non andava in giro per le strade e nemmeno è stata immortalata da qualche artista nostrano, ma siccome era molto brava aveva una sicura clientela.

Suoi nemici eravamo noi ragazzini che le rubavamo le bacchette degli ombrelli per fare favolosi archetti, molto potenti tanto che con una bacchetta ben appuntita a modo di freccia eravamo stati capaci di rovinare la porta di legno della cantina dell’abitazione del nostro capo banda: ci avevamo infilato qualche centinaio di frecciate. Risultato: confisca della pericolosa arma – per noi impagabile – e ritorno delle preziose bacchette nelle mani “dell’umbrelata”, con delusione di noi piccoli sognanti Robin Hood.

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