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Spettacoli

NEL NOME DELLA MADRE

CLARA CASTALDO - 31/03/2012

Una storia d’amore, una faccenda che ha bisogno di amore a prima vista. È una libera rielaborazione dell’omonimo testo di Erri De Luca, lo spettacolo teatrale a scopo benefico (l’incasso è stato devoluto all’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus) dal titolo “Nel nome della Madre”, portato in scena dalla compagnia Ex Novo, a Varese.

Lo spettacolo, diretto dal Maestro Alessandro Riganti, vedeva parti di testo, recitate al pubblico da Mario Bistoletti, Samantha Simonetto, Sarah Quaresima, Rita Pinelli, alternate a musiche in gregoriano e ambrosiano, eseguite dal Coro Antiqua Laus. Uno spettacolo raccolto e da raccoglimento, un testo che, alla fine, ti auguri di rivedere insieme a qualcuno con cui condividere una cosa bella e commovente.

Il testo è dialogo: tra Miriam ed Anna, partendo dall’Annuncio nel tempo di marzo. Ma è anche preghiera e silenzio. Tutto il silenzio richiesto dall’accoglienza, piena, del Figlio.

Il testo è tenerezza di donna che diventa madre senza aiuto di uomo, donna che fa festa per quella nicchia in corpo che la rende nuova, che la rende “due in un corpo solo”, nel corpo della vergine incinta.

“In questi giorni di fine estate, prima delle nozze, espongo il corpo al sole sul tetto al primo mattino. Scopro il ventre, così attraverso di me arriva luce a lui, così il bambino impara la luce, non si spaventerà quando uscirà all’aperto. Gli piace già, sta a pancia in su come i cuccioli. Gli racconto: “Più del giorno, ti stupirà la notte. È un grande grembo stracarico di luci. Pensa che io sono una di quelle luci e intorno a me c’è un ammasso di altre. Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle; di tutte loro, sono io la tua. A guardarle fanno spalancare gli occhi e allargare il respiro. Ma tu non sai ancora cos’è il respiro. È questo su e giù del petto che dondola”. Bisogna proprio che tu esca da li, giovanotto, e che ci presentiamo. Io sono Miriam e tu, tu chi sei?”.

“Nel nome della Madre” è un testo d’amore, fatto di abbracci e di carezze di sguardi.

Verso Giuseppe, uomo giusto che conosce la storia e la legge, coraggioso e guidato dall’angelo e che dice a Miriam: “Per loro tu sei pietra d’inciampo, per me tu sei pietra angolare da cui inizia la casa”.

Verso una famiglia che deve superare le avversità del dubbio, dell’incertezza, del sospetto. Pronta a partire, affrontando il deserto, calpestando una terra promessa e usurpata, che ha assorbito tanto di quel sangue da ubriacarsi.

“Nel nome della Madre” è un testo d’amore verso un figlio, impastato di sangue e di perfezione, un bimbo nato a Bet Lehem, Casa di Pane, nato su una terra fornaia, pasta cresciuta da una donna senza lievito d’uomo. Un figlio amato, benedetto, che nasce in viaggio, dunque è viandante, sulla schiena di un’asina paziente; un “figlio cometa, spillato da fonte segreta” (bellissimo, nello spettacolo di Varese, il racconto della nascita del bambino, accompagnato dalla danza di Michela Carbone).

Erri De Luca immagina –con tenerezza e realismo infiniti- che il figlio abbia imparato dal padre il gesto dello spezzare del pane; così Giuseppe “mangiava volentieri pulendo la scodella di legno con il pane. Quando lo spezzava lo faceva con una mossa lenta e delicata, mai vista fare prima da qualcuno. Con i gomiti bassi, senza sforzo, ogni sera divideva il pane. Mai con il coltello, che lo profanava, dopo la benedizione”.

Ma “Nel nome della Madre” è innanzitutto essenza di preghiera, ovvero dialogo con Dio. Non importa se velata di timori o di gratitudine umani, recitata sotto una tenda di profughi o cantata nella Sinagoga. La preghiera è colloquio certo, diretto perché familiare: “Ti ho promesso, promettimi. Ti ho obbedito, esaudiscimi. Certezza è che mi ascolti”.

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