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Opinioni

MISSIONE UTILE

ROBERTO MOLINARI - 14/02/2020

art-49Se c’è un argomento che in questo momento storico è impopolare questo èquello che riguarda i partiti politici, la loro missione e la loro utilità.

Il sistema politico è abbastanza screditato agli occhi dei cittadini elettori. Le ragioni sono molteplici. Alcune condivisibili, altre meno. Dobbiamo anche ammettere che a questo stato di cose hanno contribuito in molti nel corso della nostra storia repubblicana e certamente non solo i politici.

Premesso questo e senza assolvere certamente il ceto politico dalle sue responsabilità, vorrei provare ad intavolare un ragionamento circa l’esigenza di riscoprire il valore, la necessità dei partiti per una democrazia e, ovviamente, anche la necessità storica ed impellente per la qualità della nostra democrazia di una riforma degli stessi che parta dal dettato costituzionale inapplicato e cioè l’art. 49 della Costituzione repubblicana.

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la politica sa che l’architrave della democrazia negli ultimi duecento anni sono stati i partiti politici.

Certamente rispetto a due secoli fa abbiamo visto queste organizzazioni mutare, cambiare e adattarsi ai tempi, ai sistemi elettorali e alle richieste che la società civile faceva loro di volta in volta per rappresentare interessi, ma anche per promuovere processi di integrazione delle masse popolari nello Stato.

Per ciò che ci riguarda da vicino la cosiddetta “Prima Repubblica” è stata caratterizzata dall’egemonia dei partiti tanto che il grande storico Scoppola l’ha definita in un suo saggio come la “Repubblica dei partiti”.

Nel periodo successivo al ‘92, abbiamo visto assurgere a protagonisti indiscussii cosiddetti partitipersonali influenzati dall’esercizio di leadership forti a tutto scapito della organizzazione politica tradizionale e del pluralismo interno.

I partiti politici nella versione più nobile hanno come missione quella di razionalizzare, canalizzare e articolare le preferenze politiche strutturando il voto di fronte al potere e, dall’altro, selezionare e preparare il personale politico agli incarichi pubblici elettivi, ma, come tutti gli organismi complessi, vivono periodi diversi a seconda delle diverse inquietudini sociali, dei diversi leader con più o meno visioni strategiche o dal prevalere di piccoli interessi tattici.

Di qui l’ovvia caduta di fiducia e di qui la necessità anche questa ovvia di ripristinare un alveo di riconoscimento reciproco di spazi, funzioni e ruoli tra società e politica.

I partiti nella nostra tradizione costituzionale rimangono delle associazioni private non riconosciute anche se stabilmente organizzate. Ma attenzione, la loro specificità risiede nell’operare nell’ordinamento per favorire la più ampia partecipazione da parte dei cittadini alle attività politiche nel senso più lato.

Quindi perché partire dall’art. 49 della Costituzione? Perché se il metodo democraticoper ciò che riguarda la vita dei partiti trovatutele sempre più anche a livello sovranazionale (leggi Europa e basta pensare alla Corte di Strasburgo e questo spiega anche l’idiosincrasia dei sovranisti di casa nostra) rimane aperto il tema della c.d. democrazia interna e questoancora oggi è un argomento cruciale che non riguarda solo, però, la scelta dei candidati per i rispettivi livelli, ma anche il modo in cui si fa partecipare i cittadini alla formazione degli orientamentie degli indirizzi, il modo in cui si formano alla trattazione delle questioni di interesse collettivo e li si prepara alla assunzione delle responsabilità pubbliche.

Esiste ad onor del vero un rovescio della medaglia. Perché è inattuato l’art. 49?

perché nel nostro Paese si è voluto avere la massima libertà nel creare e nel gestire la vita dei partiti politici e questo per la paura ovvia di interventi autoritativi da parte di chi domina l’esecutivo e per il timore di incursioni da parte del potere giudiziario.

Dunque la conseguente domanda. Tutte queste perplessità sono ora superabili? È giunto il momento di andare oltre?

Esiste un altro problema anch’esso impopolare se non visto come la pietra dello scandalo ed è quello del finanziamento pubblico dei partiti.

La democrazia ha un costo e questo fa sì che si trascinino anche tutta una serie di giudizi populistici che nulla hanno a che vedere con quelle che sono le finalità del finanziamento alla e della politica. Certo è che, per una democrazia che funziona,tuttoè più facile quando si tratta di chiedere soldi ai cittadini per la politica, ma rimane un problema di fondo che nessuno ha risolto compiutamente. Nel momento in cui chiedo al privato di finanziare la politica ed i partiti questi ultimisono portati a rispondere agli interessi di chi finanzia e non di chi promuove il bene comune.

Gli statunitensi nel loro pragmatismo cinico hanno risolto parzialmente la cosa legalizzando le lobby e facendo dichiarare chi finanzia chi. Non importa quanto mi dai, importa che si sappia chi da a chi e se ne regolamenta l’accesso nei luoghi delle istituzioni.

In Italia abbiamo voluto seguire il populismo e abbiamo abolito ogni forma di sostegno pubblico pensando così di risolvere ogni problema, ma questo ha solo indebolito i partiti e li ha mandati nelle braccia dei lobbisti o fatto si che la politica sia luogo solo per pensionati, ricchi e giovanotti in cerca di un lavoro e uno stipendio.

Dunque è forse tempo di ritornare a parlare di costi della democrazia, della politica e dei partiti. E questo forse avrebbe anche più senso se quel legame di cui scrivevo prima tra società e politica fosse quanto prima ripristinato recuperando il senso originario descritto nella nostra Costituzione anche attraverso meccanismi di trasparenza efficaci ed efficienti e più moderni.

Insomma, io credo che occorra ritornare ad avere coraggio in politica. E occorre spezzare la banalità della demagogia e del populismo e, ritornare, anche a riflettere ad alta voce e a elaborare soluzioni per la politica, i partiti e la qualità della nostra democrazia.

Roberto Molinari, Direzione provinciale Pd Varese

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