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Attualità

MONTANARI/2 LA TENEREZZA

ROSALBA FERRERO - 28/02/2020

img-20200229-wa0001La cifra che definisce Cini Montanari era la passione per la vita, vissuta con intensità in ogni suo attimo, capace di resilienza in ogni situazione che gli permetteva di trasformare ogni caduta in un punto di partenza verso una vetta più alta.

Attento instancabile, ma al tempo stesso umano e generoso, capace di stemperare con un sorriso l’urlata fatta un attimo prima, quando si era accorto di una imperfezione nel seguire il protocollo: pretendeva rigore da sé e dagli altri; così lo ricordano tutti coloro che furono suoi collaboratori nella lunga attività ospedaliera

Passo deciso, occhi azzurri penetranti, camice bianco svolazzante…accanto ai bambini, ai più piccoli di tutti, ai più indifesi della pediatria: i neonati i prematuri.

Nel 1963 il suo piccolo Luigi, il primo figlio amato e desiderato, nato prematuro era morto poco dopo,per la mancanza di mezzi e di strutture adeguate a supportare le difficoltà neonatali.

Perché altri non vivessero la sua personale drammatica esperienza, volle intensamente costruire un nuovo reparto che facesse fronte a ogni emergenza.La neonatologia e la terapia intensiva pediatrica a Varese sono frutto della sua ‘indomita testardaggine’. Siamo all’inizio degli anni 70 quando ottiene che si costituiscano le nuove unità che rispondono ad esigenze sino ad allora trascurate. Nel 1985 la Pediatria del ‘Circolo’ viene unita con quella che aveva creato al ‘Ponte’ dando origine ad un’eccellenza, efficiente, accogliente e a misura di bimbo.

Dalla fine degli anni sessantaa fine del secolo lo hanno avuto accanto metà dei bambini nati a Varese ma anche molti altri bimbi nati negli ospedali di Kenya Uganda Zambia, paesi in cui si recava durante le ‘vacanze’, così per ‘dare una mano’ come diceva con modestia.

L’innata generosità lo spingeva ad occuparsi anche dei bambini con problemi psichici e comportamentali nell’Istituto provinciale per l’infanzia.

Neopensionato aveva scelto di ‘dare una mano’ nel realizzare un reparto di pediatria all’Ospedale di Kalongo: ‘solo un mese’ aveva detto partendo ma c’era molto da fare e i mesi erano diventati tanti e sua moglie disperava nel suo ritorno.

I viaggi e i soggiorni in Africa si moltiplicarono; non turista in resort di extra lusso: medico in ospedali talora fatiscenti ad insegnare alle leve locali ad aiutare, a costruire reparti di pediatria e maternità.

Esperienze eccezionali che viveva come normali: fuori dal suo essere andare a lavorare in centri privati come tanti suoi colleghi, neo-pensionati, dei quali non ne aveva una buona opinione – ‘pensano solo ai soldi diceva ridendo e non ai pazienti… è una scelta… non li giudico ma non mi piacciono io ora lavoro ma non voglio soldi in cambio, solo il sorriso e l’amore dei bimbi.’-

Generoso nel donare il suo tempo, generoso in tutte le situazioni che la vita gli presentava. Aveva ‘ereditato’ molti impegni dalla moglie: i bimbi che Bianca aveva adottati in India e gli ‘indigenti’ di Varese…

È senz’altro stata una fortuna aver avuto lunghe chiacchierate con un uomo così ‘grande’. Infatti nell’ultimo decennio gli acciacchi e la stenosi avevano ridotto in parte le sue uscite, e nei mesi invernali ci si trovava e si discuteva di storia e di politica. Amava raccontare della sua vita. La sua famiglia era l’argomento prediletto- mai raccontava delle tante cose belle da lui fatte mai si vantava: per sapere- poco-del ‘suo’ reparto o delle sue missioni africane bisognava insistere. Parlava volentieri del padre che venuto a Varese a trovare un commilitone col quale aveva condiviso la vita di trincea tra il 1915 e il 18, ne aveva poi sposato la sorella. Parlava del fratello maggiore ufficiale della Marina morto in guerra nel 1942, immortalato in una tela che descrive la famiglia nello strazio.

Raccontava della casa del Conventino in cui era nato nel 1928 –scendevo a piedi e se nevicava con gli sci per andare al Liceo- … nella soffitta c’erano le tele di mio padre, e in una stanza particolare, tra esse avevamo tenuti nascosti per mesi soldati italiani e alleati per salvarli dai rastrellamenti tedeschi- rideva e aggiungeva ‘con molti di loro ho ancora contatti’: mi divertirebbe farli parlare con tanti che hanno fatto ‘il salto della quaglia’ e giudicano a vanvera…ma non vale la pena sono solo opportunisti..’.

Mi illustrava i quadri in cui il padre Giuseppe ritraeva Luigi, detto Ciccio, il futuro guardiamarina, Giancarlo, che a due anni si autonominò ‘Cini bedÈ cioè Giancarlo il bello e Cini rimase, e Marisa, la piccola, coi loro giochi e l’immancabile cane. ‘Le nostre foto ricordo ’ le chiamava.

Un giorno si lamentava ‘i cartoni di mio padre sono esageratamente grandi e non trovano collocazione espositiva’…

Dottore ma i cartoni di suo padre…potrebbero trovare adeguato spazio espositivo al Cairoli:

lo sguardo penetrante dei suoi occhi di un azzurro intenso si illuminò: Ottima idea si può fare

Come in ogni vicenda della sua lunga esistenza Cini si attivò senza indugio per una donazione e da allora ‘ tre cartoni preparatori’ del padre, ornano le pareti del Cairoli.

La vela era una grande passione: ‘è il mio sangue marchigiano’.

Comprare la ‘barca a vela’ era stato motivo di accese discussioni in casa; per accudirla partiva di buon mattino per Genova ove era ormeggiata e tornava in serata dopo una ‘ super-mangiata di pescÈ che era doverosa, dopo la visita al cantiere. Coi compagni di barca a vela.

L’ultima uscita col sette metri nel 2016 a 88 anni con due compagni di avventura ‘ uno solo di noi cammina uno sente uno vede. In tre facciamo un uomo normale ‘ il che aveva comunque permesso di partire il 10 giugno e di tornare il 20 luglio dopo aver toccato Corsica Sardegna e Baleari.

Poi il trasferimento a Ranco. ‘Ma il lago non è il mare -sospirava non si sente il sale nell’aria’

Al mare era legato, a Varese e alle Marche… ‘amo le seppie coi piselli e il roastbeef …ma anche le cipolle coi fagioli’

A dicembre una brutta caduta sul ghiaccio in piazza San Vittore, la telefonata a Daniela, la figlia: ‘sei a Pavia? Mi sono rotto il femore.Cosa faccio? chiamo un’ambulanza?’Poi l’operazione e l‘internamento nel ‘lager della riabilitazionÈ; non si era più ripreso completamente. Non era più autonomo ‘Che ci sto a fare? La larva? Il parassita? Non posso più far nulla per gli altri…’

Se ne è andato con discrezione, perché era un uomo discreto, mentre riecheggiano le parole della preghiera del Marinai

‘A Te, grande eterno Iddio… noi uomini di mare e di guerra, ufficiali e soldati …a… questa nave… per sempre dona vittoria’.

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