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Attualità

IMPARIAMO DAI CINESI

ANNA MARIA BOTTELLI - 20/03/2020

rischioLe 10 d’un sabato mattina di quasi primavera: piove, nessuna automobile nel grande parcheggio centrale di Varese, nessuna persona da incontrare o con cui scambiare come sempre due chiacchiere. Il deserto è totale, desolante. Il silenzio mi avvolge come una gelida coperta. Per necessità improrogabili mi avvio verso Corso Matteotti, solitamente pullulante di persone di ogni età: genitori, nonni, bambini in carrozzina o che muovono felici i loro primi passi proprio lì, nel salotto buono di Varese. Ora solo i piccioni mi fanno compagnia, con il loro grugare insistente, in quanto indisturbati. Le vetrine dei negozi di abbigliamento presentano le nuove collezioni di primavera, ma le porte sono chiuse per il Decreto. Solo le luci sono rimaste accese, ma né commesse accoglienti si intravedono, né acquirenti contenti dei nuovi acquisti per il cambio armadi. Le luci delle solite note pasticcerie sono spente: la festa del papà del prossimo 19 marzo passa in second’ordine.

La porta d’ingresso di un creativo fiorista centrale è stata rivestita con policromi fiori primaverili: uno spettacolo! Forse, auguriamocelo, vuole evocare un futuro di speranza: dopo l’inverno buio e freddo – anche in senso metaforico – solitamente la stagione volge verso il meglio e cerca di risorgere. Ma ecco che il suono della sirena di un’ambulanza, che in Piazza Monte Grappa irrompe lugubre nel silenzio del paesaggio dechirichiano. Chissà, ho pensato, sarà una comune urgenza, un incidente stradale, oppure l’ennesima persona contagiata dal nemico invisibile, il COVID-19, che ormai temiamo di incontrare in ogni luogo e che potrebbe aver provocato a qualcuno una crisi respiratoria?

Quante volte sentiamo dire che alcuni avvenimenti ci cambiano la vita dall’oggi al domani. Può bastare una semplice distorsione di una caviglia durante una passeggiata spensierata, o una frattura ossea da caduta accidentale, ma ben peggio una diagnosi riferita di malattia severa per sé o per i propri familiari, fino alla morte improvvisa e imprevedibile di uno di loro. Quanto più coinvolge una persona giovane, tanto più devasta e cambia il decorso dell’esistenza di tutti. Ebbene in questo periodo, da un giorno all’altro, l’aggressione da parte del Coronavirus ha modificato la vita di ciascuno di noi, dalle più banali abitudini di “socialità” – dovendo rimanere rigorosamente e responsabilmente a casa – alla più severa necessità di cure mediche fino al supporto ventilatorio. Ma purtroppo anche fino all’exitus!

Anche il nostro stimato Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Varese ha dovuto arrendersi e la parola della conclusione della sua esistenza è stata scritta per lui da altri colleghi, immagino, con grande senso di impotenza e di amarezza. Ci ha lasciato troppo presto il dottor Roberto Stella, tante cose aveva ancora da proporci e da organizzare a favore di tutta la categoria, soprattutto in un momento come questo fatto di incertezze e di paure. Spingeva i giovani a non avere timore, infondeva coraggio a tutti, sottolineando nei suoi simposi l’importanza della formazione continua per un aggiornamento costante, nell’ambito di una professione da Lui portata avanti fino all’ultimo, con estrema dedizione. Ora, in un’altra dimensione, continui a vigilare sulla sua grande famiglia ordinistica, affinché insieme si riesca a superare questo tragico momento.

Ma la speranza del popolo italico, soprattutto qui nel Nord, non lascia spazio al negativo e si rimbocca le maniche in maniera encomiabile. Il mondo sanitario, spesso vituperato, maltrattato, biasimato e messo a caratteri cubitali in prima pagina – definendo ogni episodio malasanità, prima di un vero giudizio – ora sta dimostrando quello che veramente è ed è sempre stato, ma ben poco capito da chi pensa solo ad altri numeri: responsabile, generoso, attento, infaticabile, emotivamente provato di fronte a quei numerosi occhi imploranti aiuto. Occhi che potrebbero essere i nostri, quelli di parenti o conoscenti che lasciano questo mondo senza neppure un conforto affettivo!

Un’invocazione particolarmente intensa, mercoledì 11 marzo, è stata quella dell’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini. “O mia bela Madunina” è stato l’intercalare della sua preghiera accorata che chiede conforto, pazienza, forza per affrontare la malattia; aiuto nella fatica, pace, delicatezza, sorriso, segni di sollecitudine nei momenti di sconsolata solitudine; sapienza nelle decisioni; che nessuno si senta abbandonato, che tutti manifestino perseveranza e costanza nel servire e nel pregare; chiede un abbraccio per tutti i figli tribolati e di preparare i nostri cuori alla gioia in quella città solitamente lieta, solidale, fiera, operosa.

In un’intervista il Cardinale Gianfranco Ravasi pone l’accento sulla fragilità della creatura umana, che invece spesso crede di dominare tutto grazie alla tecnologia o ad altri supporti. Le malattie, i terremoti, le grandi o piccole catastrofi sottolineano il limite di noi esseri umani: Dio non ci libera da ciò, ma ci aiuta e ci sostiene sempre. Le sue parole in questo momento sono facilmente comprensibili, a mio giudizio, solo attraverso il supporto della Fede, che dobbiamo invocare come dono per noi poveri esseri umani che ci crediamo a volte giganti, immortali, onnipotenti, ma purtroppo appoggiamo su fragili piedi di argilla, come dimostrano i fatti attuali. È bastato un microscopico “re” con una corona invisibile e che avanza senza trovare ostacoli lungo il suo cammino, a far di noi dei birilli facilmente eliminabili, dopo una semplice caduta.

La cosa di cui invece bisogna aver paura – riferisce Ravasi – è la paura stessa. Ma purtroppo le notizie sono sempre più inquietanti e dominare la paura è secondo me molto difficile. Potremmo trasformarla in valida “consigliera” che quotidianamente ci sollecita all’obbedienza, a seguire i vari decaloghi, a mantenere il “distanziatore sociale” come principio base di questi giorni, in attesa di tempi migliori. Sfruttiamo il periodo per fare ciò che abbiamo sempre messo da parte – per mancanza di tempo – oppure se giovani genitori, si reimpari a stare insieme ai propri figli in un altro modo: si possono sfogliare atlanti e con la fantasia immaginare viaggi; cercare tra le cose vecchie, foto, giochi di un tempo e provare a raccontare il passato. Usare cose semplici già in possesso – colla, carta e matite colorate, spago, tappi di sughero, scatole di cartone – e inventare con i bambini, che hanno una creatività infinita, nuovi giochi di fantasia, per impegnare la loro mente ed evitare che il Coronavirus li terrorizzi. Parlare loro come di un “mostro” che non ci farà più del male perché noi tutti insieme siamo più bravi e forti di lui. I bambini rimangono sempre affascinati dai mostri, amano la lotta con cui si sentono di emulare i grandi: coinvolgiamoli in questo distraendoli da notizie televisive o da cellulari a volte più intossicanti del virus stesso.

Fare di necessità virtù è il messaggio per qualunque età in questo periodo, così che la paura nella sua accezione negativa si trasformi in “timore” ovvero rispetto per sé e per gli altri.

In fondo dovremmo imparare dai cinesi stessi che la parola crisi – weiji - per loro ha un doppio significato. La prima parte – wei – significa rischio, la seconda parte – ji – opportunità.

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