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Attualità

INCROCIO

ROMITE AMBROSIANE - 10/04/2020

L'evangelista Giovanni scrive il Libro dell'Apocalisse. Dipinto di Hieronymus Bosch

L’evangelista Giovanni scrive il Libro dell’Apocalisse. Dipinto di Hieronymus Bosch

Ogni augurio dovrebbe essere un’apertura, una promessa, una strada … allora il nostro “buona Pasqua” vorrebbe descrivere una via, una via iniziata – almeno – con la Quaresima, una via che la nostra beata Caterina ha definito via dell’umiltà. Una via piccola, dunque, che ben si coniuga con le misure restrittive legate al coronavirus; una via stretta che però vuole andare lontano e non ci lascia indifferenti di fronte alle immani miserie che affliggono tante parti del nostro mondo; una via difficile, ma, proprio per questo, percorribile anche tra la sofferenza e le preoccupazioni di questo tempo; una via che ha un approdo spazioso e bello, la Gerusalemme celeste. Là, ci dice Caterina, non potremo pensare, fare o dire di nient’altro se non dell’amore di Dio! Bello, di una bellezza tale che può mettere in ombra tante altre piccole cose che nella quotidianità ci prendono e ci occupano: ecco la via dell’umiltà.

A questa via si contrappone quella della superbia che conduce nella confusione, a Babilonia, là dove il nostro ego pensa di tutto poter ordinare e controllare, così che tutto il nostro dire, fare e pensare gira convulsamente intorno a noi stessi e noi rimaniamo stupiti e irritati perché la realtà e gli altri non si piegano ai nostri desideri. La via della superbia è quella che ha condannato il Cristo: “togli di mezzo costui”, noi stiamo bene da soli, senza speranza, senza fiducia, senza amore! E così scopriamo che via della superbia e via dell’umiltà sono tangenti, si incrociano. Si incrociano precisamente sul Golgota, là dove Dio si è umiliato fino a farsi servo, servo precisamente della superbia umana. Come è stata ripida la via dell’umiltà percorsa da Gesù, caduta dopo caduta! Si è abbassato di fronte al Padre suo, rimettendo a Lui la propria volontà, scegliendo di non fare nulla da sé, di vivere la vita così come il Padre gliela consegnava, come un bimbo sicuro sulle spalle della madre, sicuro anche sulla via della croce, sicuro di ricevere anche lì vita in quella relazione che lo aveva generato. Si è abbassato di fronte agli insulti degli uomini, all’incomprensione del suo popolo, al tradimento del discepolo, al rinnegamento degli amici: non fece valere le sue umane ragioni, ma il suo amore divino, e si umiliò. Si abbassò nello strazio della sua umanità lacerata, triste fino alla morte, angosciata nel percepire l’abbandono del Padre (perché la fede non anestetizza l’umano sentire, sa che non è l’ultima parola, che è una parola da rivolgere ad un interlocutore apparentemente assente – “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” – per poi mettersi in attesa). È disceso dunque Dio fino nel sepolcro, fin dentro ai nostri sepolcri perché anche lì diventasse possibile parlare, pensare, agire l’amore di Dio e una strada fosse aperta oltre alla confusione e all’impero del nostro limite e delle nostre fragilità. Una strada che parte dal limite e dalla fragilità per assumerli in pienezza, per viverli nell’orizzonte vivificante dell’amore di Dio: via dell’umiltà, via della vita giacché sia l’umiltà che l’uomo sono fatti di humus, di terra ed hanno il respiro di Dio.

A Pasqua siamo dunque dinanzi ad un incrocio in cui scegliere la via.

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