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Editoriale

OLTRE

ROMITE AMBROSIANE - 29/03/2024

buon_pastoreSpero come chi ha sempre qualcosa in più da sperare (S. Ambrogio, Commento al salmo 118, 15, 23). Illusione? Anestetico contro la sofferenza e la delusione? Lieto fine atteso ad ogni costo, anche a quello di perdere il contatto con il reale? Se non ci fosse dietro una carne vivente e sofferente ed un incontro, forse, sì.

Ma se scorro la pagina di sant’Ambrogio trovo tutto questo, anzi un po’ di più, perché l’incontro descritto sembra essere molto coinvolgente, molto profondo: è un essere assunti, un essere fatti propri, caricati su di sé: Ci hai assunti mediante il Vangelo, ci hai assunti nella carne, poiché sta scritto: “Costui porta i nostri peccati” (Isaia 53, 4) e perciò “nella tua parola io spero” (Salmo 118, 114).

Ecco: stiamo celebrando la Pasqua e abbiamo rivissuto tutto questo nella settimana santa (detta “autentica” anche perché ha a che fare con l’autenticità della vita umana); stiamo celebrando il compimento della vita di Gesù e per questo abbiamo il coraggio – e forse il dovere – di nominare la speranza, questa speranza tutt’altro che superficiale, anzi, direi, a caro prezzo; la Pasqua di Gesù ci dà il permesso ed il compito di nominare la speranza in questo nostro tempo che sembra volerla farla finita con la speranza a furia di guerre e di crisi di ogni genere.

Noi speriamo perché crediamo ed abbiamo celebrato un Dio che ha assunto la nostra umanità nella sua parola per il mondo, nella sua buona notizia per noi, nel suo Vangelo.

Noi speriamo perché crediamo e abbiamo celebrato Gesù che ha assunto nella sua carne la nostra carne con le sue gioie e i suoi dolori e ha fatto proprie le conseguenze del nostro peccato. Nulla dell’umanità è dunque escluso dalla speranza.

Ma c’è anche qualcosa di più, anzi c’è sempre qualcosa in più da sperare perché se la nostra speranza – per essere veramente nostra – non può che essere fatta di carne e di sangue, tuttavia essa ci porta oltre i limiti della carne e del sangue, se no non sarebbe speranza.

E se dopo ogni lotta contro il limite e contro il male se ne apre subito un’altra, ugualmente a speranza si aggiunge speranza così che la speranza è la via che ci porta avanti; si progredisce nella speranza.

Sì, la speranza è una via, una via per niente dissimile dalla via della croce che abbiamo percorso in questi giorni, perché è proprio la via della croce a fondare e ad aprire la via che è la speranza.

La condanna a morte non è forse la morte della speranza? Eppure Gesù è andato avanti non come chi avanza succube, costretto dagli eventi, ma come chi, subendo i colpi del male, non si piega ad esso, ma avanza sperando nel bene, sperando che, infine, il bene e l’amore guidi i passi di tutti.

Inchiodato alla croce il condannato può forse solo sperare che l’agonia sia breve; eppure Gesù ha sperato la Vita.

Appesi nudi senza dignità i crocifissi della storia forse sperano di non incontrare alcuno sguardo perché di loro non ci si ricordi come di maledetti, eppure Gesù chiama ed interroga, spera in una risposta.

Chi è circondato da insulti può sperare che finiscano o che quelle parole aggressive si rivoltino contro i suoi offensori e li schiaccino; ma Gesù, mosso da una speranza a cui si aggiunge speranza, non può che sperare anche per loro: Padre perdona loro.

Agli occhi degli uomini la speranza forse rimane nascosta; del resto non si vede ciò che si spera, non sarebbe più speranza (cfr. lettera ai Romani, 8,24). Forse per questo nessuno vide la risurrezione di Gesù e se tanti sono testimoni della sua morte, pochi sono quelli della sua Vita. Non possiamo vedere la speranza, ma possiamo camminare in essa o, forse, lasciarci portare da essa:

ho sperato in te che sei venuto

ad accogliere i peccatori

a perdonare le colpe

a portare come buon pastore

sulle spalle in croce

la pecora smarrita.

La Pasqua di Gesù apra per tutti la via della speranza: questo il nostro augurio ed il nostro desiderio per tutti.

Sacro Monte, Santa Pasqua 2024

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