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Presente storico

IL BALCONE NERO

ENZO R. LAFORGIA - 26/06/2020

Manifestazione fascista a Varese (fonte Luce)

Manifestazione fascista a Varese (fonte Luce)

Il fascismo, a Varese, fu un fenomeno di importazione. Tra il 1919 ed il 1920, il neonato movimento fondato da Benito Mussolini, cercò, tra mille difficoltà e molte idee confuse, di espandersi al di là di Milano. L’incontro che diede vita ai Fasci di combattimento, come si sa, ebbe luogo, il 23 marzo del 1919, presso il salone del Circolo per gli interessi industriali, commerciali e agricoli, che si trovava al primo piano di Palazzo Castani, al n. 9 di piazza San Sepolcro, in Milano. A circa seicento metri da lì, al numero 11 di via Paolo da Cannobio, c’era la sede del «Popolo d’Italia», il giornale creato dal futuro duce. I partecipanti, circa cinquanta persone (certamente non più di duecento), erano tutti lombardi e milanesi: interventisti, in gran parte reduci della Grande guerra, futuristi, arditi, molti ex socialisti e sindacalisti rivoluzionari. Molti massoni. Lo stesso spazio in cui si svolse la celebre «adunata» fu messo a disposizione dall’imprenditore, ebreo e massone, Cesare Goldmann, presidente del Circolo.

Tra i «sansepolcristi», come furono chiamati in seguito, ve ne fu anche uno di Varese. In realtà Tito Mazzi, così si chiamava, all’epoca risiedeva a Varese ma era nato a Forlì nel 1858. Anche lui era massone.

Nei mesi successivi, ogni tanto i fascisti milanesi si affacciavano a Varese. Alberto Bertoli, ad esempio, è un nome che spunta ripetutamente in città. Del resto dai primi di maggio rivestiva il ruolo di segretario propagandista del Fascio milanese.

Ma il fascismo si presenta a Varese anche nella sua forma violenta e provocatrice. Durante il cosiddetto «scioperissimo», come lo definì sarcasticamente Mussolini, programmato in tutta Europa (ma in realtà consumatosi solo in Italia) tra il 20 ed il 21 luglio 1919, la cittadina delle Prealpi fu teatro di violenti scontri provocati da alcuni arditi provenienti da Milano (e tra loro vi era ancora una volta il citato Bertoli), uno dei quali finì poi ai Miogni per aver ferito gravemente, a colpi di pistola, due persone.

Solo il 2 febbraio del 1921, anche Varese ebbe il suo Fascio di combattimento. Per l’occasione, giunse da Milano l’avvocato Michele Terzaghi, del Comitato centrale. Anch’egli era un massone e, come Benito Mussolini, proveniva dalle file del Partito socialista. In seguito, il fascismo lo avrebbe messo alla porta. Dieci giorni dopo, il neonato gruppo politico si presentò alla città con un manifesto, in cui esponeva i propri obiettivi: «opposizione ai denigratori della guerra e della vittoria; valorizzazione di tutti gli elementi che si prestano alla difesa del patrimonio morale ed economico della Nazione; rivendicazione del diritto di libertà di ogni singolo cittadino e di ogni partito costituito; rispettare tutti per essere rispettati».

Qualche mese dopo, il 7 aprile del 1921, sempre a Varese fu costituita anche una sezione dell’Avanguardia studentesca, l’organizzazione giovanile fascista, nata a Milano il 20 gennaio dell’anno precedente. Anche in questa occasione, la sezione varesina fu tenuta a battesimo da un rappresentante del fascio milanese, che ne assunse anche la presidenza: Armando De Felice, modenese di nascita, giovanissimo volontario nella guerra italo-turca del 1911-1912 e poi fante nella Grande guerra.

L’inaugurazione ufficiale del gagliardetto del neonato Fascio varesino ebbe luogo nel pieno della campagna elettorale. Domenica 8 maggio, le vie del centro cittadino furono imbandierate; i fascisti e i giovani avanguardisti si erano dati appuntamenti presso il Battistero, per poi raggiungere in corteo il cimitero di Giubiano, dove, attraverso le parole dell’avvocato Mario Moroni e i versi del reduce garibaldino Carlo Tognella, fu reso omaggio ai caduti delle guerre nazionali. Il corteo si recò in seguito in piazza del Podestà, dove fu deposta una corona d’alloro ai piedi del monumento al Cacciatore delle Alpi e dove il segretario del Fascio di Como, Angelo Balconi, tenne il suo discorso. Dopo pranzo, un nuovo e più imponente corteo attraversò le vie della città. Vi presero parte i rappresentanti dei Fasci di Angera, Azzate, Besozzo, Busto Arsizio, Cardano al Campo, Como, Gallarate, Gavirate, Genova, Laveno, Legnano, Luino, Marchirolo, Milano, Solbiate, Tradate. Accanto ai fascisti, sfilarono anche i reduci delle battaglie risorgimentali, l’Associazione ufficiali smobilitati, i soci della Dante Alighieri, del Club alpino italiano e i rappresentanti del Collegio civico.

Tutti convennero poi ai Giardini estensi, disponendosi ai piedi della statua della Libertà, anch’essa imbandierata per l’occasione. Condusse la cerimonia, per conto del Fascio varesino, Mario Gramsci, sposatosi a Varese nel settembre del 1920 e fratello del più noto Antonio.

Il discorso ufficiale fu tenuto dall’avvocato Giunio Bruzzesi, del Comitato centrale dei Fasci di combattimento, che, dopo i saluti di rito, puntò il dito contro coloro i quali «lasciarono ai bolscevichi italiani esplicare la loro propaganda fra le nostre masse operaie nel dopoguerra». Unico vero argine alla rivoluzione comunista, che minacciava il nostro Paese, era stato, ovviamente, il fascismo, «che aveva per scopi principali quelli di salvare l’Italia dal disastro che sopra lei incombeva, e di ricondurre le masse traviate, sulla retta via che avevano abbandonato». La cerimonia si concluse con lo scoprimento del gagliardetto della sezione varesina per mano della madrina, la signora Tina Mona. Seguirono le consuete grida di «eja, eja, eja, alalà», il giuramento dei fascisti presenti, che si impegnavano a difendere la propria insegna in qualunque circostanza, ed il canto dell’Inno fascista.

Fu in quella circostanza che, per la prima volta, sul balcone del municipio, dove, l’anno prima, erano state esposte delle bandiere rosse, furono innalzati dei fasci littori.

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