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Quella volta che

POCHI, BUONI

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 01/07/2020

Chiara, Lauzi, Malagodi

Chiara, Lauzi, Malagodi

-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che, seguendo l’ispirazione antica di famiglia, decisi d’iscrivermi alla Gioventù liberale”.

-Calende adolescenziali…

“Facevo la terza liceo scientifico, il mio compagno Sergio Puerari aveva un debole per la politica. Gli rivelai d’averlo anch’io. Buttò lì: presentiamoci alla sede del Pli, in via Bernascone, primo piano. Detto e fatto, venimmo subito arruolati”.

-Allora il Pli prendeva il tanto che bastava a farne un partito di nobile pochezza…

“Belle Èpoque di Malagodi, eredità importanti, presenze prestigiose nelle istituzioni locali. Tipo Edoardo Lanzavecchia, Ferruccio Zuccaro, Mario Fiamberti, Renzo Capanna, Bepi Bortoluzzi. E poi il resto”.

-Ovvero?

“Un coté di personalità d’eccellenza in settori vari della vita economica, sociale, culturale. Pervase da un’ironica considerazione di sé stesse: quando il partito prendeva qualche voto più del solito, si chiedevano che cosa si fosse sbagliato”.

-La tua carriera fu speedy…

“Senza che io spingessi per farla. Mi ritrovai vicesegretario dei giovani con Norsa leader. Norsa, a proposito: uno smagato camminatore dei corridoi trattativistici. Poi feci il salto in occasione delle elezioni comunali del ‘70”.

-Quanti voti raccolti?

“236, una cifra più che accettabile tenuto conto ch’ero all’esordio. Piero Chiara, leader varesino del Pli, apprezzò il risultato. Mi fece segretario cittadino e vicesegretario provinciale. Cominciai a passare intere giornate con lui in via Bernascone. Rispetto alla prima volta, era cambiato il piano doveva c’era la sede: era passata al quarto”.

-Molto discutere…

“E molto giocare a carte, parlare di letteratura, ottenere il privilegio dell’ascolto degl’inediti di Bruno Lauzi, liberale pure lui”.

-Due anni dopo, la prova delle elezioni nazionali…

“Elezioni anticipate del ’72, quando il presidente della Repubblica Giovanni Leone sciolse le Camere. La nostra circoscrizione comprendeva, oltre a Varese, anche Como e Sondrio. Girai il territorio per quarantacinque giorni assieme a Victor Nicoletti, che contendeva la candidatura al deputato uscente Piero Serrentino. Una fatica con punte di noia e però anche di divertimento”.

-Facce rìde…

“In ogni città e paese Nicoletti ripeteva sempre lo stesso discorso. Uguale uguale. Diceva: so che avete sentito da altri candidati propositi simili ai miei, ma ricordatevi che la differenza viene dalla persona. E’ il tono che fa la canzone”.

-E giù applausi…

“Non molti, a dire il vero. Erano comizi di scarsa affluenza. Ma Chiara ci diffidava dal sottovalutare le piazze vuote”.

-Con quale argomento?

“Un esempio. Capita che parliamo a Induno Olona, non c’è un cane. Delusione e voglia di rinunzia. Ma Piero ci ricarica dicendo: non fidatevi di quel che vedete, in realtà molti vi ascoltano nascosti dietro le persiane”.

-Come finì?

“Nicoletti battuto, per me 870 voti. Un successo. Mi meravigliò il fatto che ne raccolsi 12 in un paese chiamato Cosio Valtellina. Non ho mai saputo spiegarmene la ragione. Cercai di ricambiare a modo mio più di vent’anni dopo, alle europee del ’95. A Varese si presentò una Lista delle Alpi o qualcosa del genere, ignota a me e credo a quasi tutti. La votai, indovinando che il candidato sarebbe stato colto da uno stupore simile al mio del ‘72”.

-Quell’avventura fu il prodromo dell’elezione a consigliere provinciale…

“Accadde nel ’75, seguirono un paio d’anni di buon lavoro che feci come presidente della commissione turismo, caccia e pesca. Poi suonò l’ora del patatrac col partito. Le storie a volte vanno a termine”.

-Che termine fu?

“Nel ’76 mi ricandidarono alla Camera, pur essendo riluttante all’idea. Presi 476 voti, un risultato dignitoso. Meno lo fu il dovermi sobbarcare le spese della campagna elettorale, dato che il Pli non aveva scucito i soldi per finanziarla. Nacque un dissidio con Chiara, ampliatosi nel periodo successivo. Fino alla rottura del ’78. Mollai tutto. Partii il primo luglio per Terracina, vacanze marine, spedendo diciannove lettere di dimissioni da incarichi vari”.

-Con un intento preciso: basta con la politica…

“Intento rigorosamente rispettato nei trent’anni successivi e che venne meno solo per una sorta di scherzo nel 2011, quando fui convinto da qualche amico a candidarmi sindaco per la lista ‘La Varese che vorrei’. Chiamata così con lo scopo d’esprimere una voglia di sogno più che di realtà”.

-Il sogno d’una Varese rinnovata…

“Totalmente. Al Caffè Zamberletti si alternarono in venti a illustrare idee, suggerimenti, proposte. Ottenemmo il 2,64 per cento. C’era una piccola ma significativa Varese che ci voleva”.

-Esiste la possibilità d’un nuovo rilancio, alle prossime amministrative?

“Chissà. L’occasione fa l’uomo ghiotto”.

-Di consenso?

“No, di allegria. Che cosa c’è di meglio che affrontare con leggerezza le questioni, spesso grevi, della gestione d’una città?”.

-Nel 2021 si voterà per della Porta Raffo sindaco?

“Sarebbe una conferma, in caso di vittoria”.

-Conferma di che?

“Del mio essere sindaco. Dentro di me, lo sono da sempre. Non vedo ipotesi migliore. Candidato migliore. Primo cittadino migliore”.

-Un’idea liberale?

“Assolutamente. Sapevamo d’avere ragione. Lo sappiamo. E per questo non ci votavano. Non ci voteranno”.

-Non ti voteranno?

“Le previsioni son fatte per trovare una smentita”.

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