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Lettera alla città

ARTE SCOLASTICA

ALESSANDRA MAMMANO e FELICE MAGNANI - 06/11/2020

scuola
 
Ecco due nuovi interventi sul dibattito aperto da RMFonline. Prossimi contributi a questa rubrica si raccolgono all’indirizzo Lettera.alla.citta@gmail.com
 

All’inizio della mia carriera di medico, mi sono occupata di medicina scolastica e di educazione sanitaria, che successivamente è diventata educazione alla salute, definizione che trovo più corrispondente alla relazione, che è essenza della comunicazione in qualsiasi ambito. L’entusiasmo con cui affrontavo i miei compiti di medico scolastico, tuttavia, non mi ha permesso di comprendere subito il senso di quel fare. Lavoro e studio mi hanno fatto capire in seguito che l’educazione alla salute è educazione alla vita, è richiamo ad una interazione creativa e gratificante con l’universo e non semplice adozione di regole comportamentali. Dunque, chi ha un compito di insegnamento ha il compito di segnare un orientamento al desiderio, al ben-essere, al bene individuale e collettivo e lo fa avvalendosi di tecniche didattiche e di un sapere pedagogico, ma anche testimoniando il proprio desiderio di benessere e felicità. Questa riflessione mi sembra ampiamente condivisa nel gruppo “Lettera alla città” e idealmente mi corrisponde.

Se è vero che un gruppo armato di buona volontà, in una città come la nostra, non possa salvare il mondo, tuttavia, è immaginabile che possa tentare di esercitare una forza uguale e contraria al vento che soffia, sempre più disumanizzante. Il parametro su ciò che umanizza, rimane l’Uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo riflette questa somiglianza nei suoi bisogni primari di amore, bellezza, verità, e giustizia. La scuola «educa» nel senso che risveglia nell’individuo il senso per cui si è al mondo: un destino di verità e bellezza, in cui sofferenza e dolore non possono mai essere l’ultima parola. Oggi, possiamo solo non autorizzarci alla rassegnazione e alla perdita, da qui fino all’ultimo respiro. Possiamo cercare e creare ancora occasioni per un apprendimento di comunità che generi valori umanizzanti.

Qualche giorno fa, un giovane incaricato per una supplenza come insegnante di sostegno, in una scuola media del territorio, mi raccontava con stupore e ammirazione di aver assistito alla lezione di un’insegnante, una lezione di storia che ha definito un capolavoro, conclusa al termine dell’ora come si conclude un’opera d’arte; la professoressa, in modo altrettanto magistrale, ha poi gestito un momento di confronto su temi attuali, fornendo strumenti di analisi e non giudizi. Il giovane insegnante, alle prime armi con la didattica, è tornato a casa arricchito dalla lezione nella lezione. Sappiamo che i ragazzi hanno opportunità di promozione umana e non solo culturale se incontrano maestri competenti e appassionati. Ma l’emergenza educativa riguarda anche soggetti più avanti negli anni. Il disagio esistenziale è diffuso e compensato da ricerche di omologazione, identità e appartenenza declinate nei modi più vari e facilitato dall’accesso alle nuove tecnologie mediatiche. Credo che si debba guardare anche al variegato universo «adulto», perché stare al mondo non diventi per molti abitare i “deserti luoghi della solitudine e del dolore” descritti da Eugenio Borgna. Il presente mostra segni di pericolo estremo, ma offre anche strumenti straordinari per attivare un cambio di rotta.

Alessandra Mammano

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Viviamo un tempo difficile, di passaggio, dove non tutto quello che è stato costruito con fatica sembra essere sufficiente per rispondere in modo esauriente alle domande di una società complessa e molto diversa da quella che abbiamo conosciuto. La diversità contiene aspetti positivi che si legano a un’evoluzione, alla necessità di aprire nuovi spazi all’intelligenza, consentendole di sviluppare a fondo tutte le sue energie e le sue peculiarità, basti pensare alle trasformazioni nel mondo industriale, alla nascita delle strategie digitali, a forme di conoscenza innovative messe in campo con l’introduzione di Internet, soprattutto la rapidità con cui la tecnologia impone le sue leggi.

Anche la scuola deve ridefinire alcune sue peculiarità, uscendo da quell’ancoraggio forzato in cui è stata relegata dal primo Novecento ai giorni nostri. Una scuola meno nozionistica, più concreta, più allineata a una società che cambia rapidamente e che ha bisogno di aggiornamenti continui, di nuove proposte, di autodeterminazione e di immaginazione, di camminare e forse di correre non tralasciando però nulla della propria storia, quella che permette di sviluppare forme di orientamento appropriate, fondate sul ragionamento e sulla convinzione che, prima di determinare, bisogna avere ben chiari i prerequisiti e la funzionalità effettiva di un progetto. Le riforme del passato hanno spesso contribuito a sommare disorientamenti e destabilizzazioni, confermando quasi sempre l’inamovibilità di una certa forma retorica a danno di una chiara e assai concreta valutazione dei bisogni e delle necessità degli esseri umani, sottovalutando il fatto che tutto parte da lì, da un’aula in cui ogni mattina i giovani s’incontrano con gl’insegnanti per cercare di trovare le giuste risposte a un’intelligenza che le esige. Ci siamo trovati spesso in una scuola inadeguata sul piano strutturale, sita in edifici fatiscenti e in aule molto più simili a prigioni che a luoghi di ascolto e di affermazione delle qualità morali e operative dei ragazzi, una scuola in cui la poesia e la prosa si sono affossate, diventando in molti casi pezzi da museo, invece di trasferire le qualità profetiche del poeta e dello scrittore dentro l’animo umano, con quella leggerezza che si lega a ogni tipo di cambiamento, senza corromperlo o alterarlo

Chi ha insegnato conosce il significato della retorica e dell’inadeguatezza, ha sperimentato cosa significhi vivere quotidianamente in aule dove l’aria s’impregna di odori e di rumori invece di allenare lo spirito a inalare la forza e la bellezza degli aromi e dei profumi primaverili. Conosce la forza e la bellezza di una ricerca fondata sul dialogo, sulla comune volontà di costruire anche solo un’idea di democrazia vera, fondata sulle necessità e sui bisogni dell’animo umano, sulla sua volontà di scuotersi e di rigenerarsi, di concorrere alla scoperta di quanto sia importante vivere concretamente la parola, nel suo dialettico rapporto con il territorio e la realtà circostante. Quante volte si è pensato di portare i ragazzi all’esterno per ossigenare la speranza, sfidando le ire di un rigore in certi casi educativamente assurdo!

Forse non si è parlato abbastanza di educazione, forse lo Stato non ha mai affrontato con la dovuta determinazione la vita della scuola e quella dei ragazzi, forse li ha trattati troppo con quella elusiva superficialità che dà sempre un po’ tutto per scontato. Oggi la scuola ha un estremo bisogno di includere, di mettersi al servizio dell’intelligenza, ma anche del cuore, creando le premesse di una civiltà che sappia distribuire con saggezza le proprie risorse e le proprie capacità, che sappia fornire all’uomo la possibilità di sentirsi amato, apprezzato, ascoltato e condiviso. Una scuola che non sia solo giudicante, ma che consenta alle persone di stabilire relazioni costanti, rapporti solidali, incontri e confronti, dialoghi e discussioni, aprendosi all’impeto creativo di una gioventù che vuole contare, che è stanca di sentirsi privata della propria capacità di sorprendere, di decidere, di partecipare. È in questa auspicabile innovazione d’intenti, di spiriti, di materie e creatività progettuale che il mondo globale cerca uno spazio attivo per la propria identità, è nella costituzione universale che le regole prendono forma e diventano motivi in più per ritrovare la pace, la collaborazione, la forza e la bellezza della vita in tutte le sue espressioni.

L’educazione non è un bene temporaneo, è soggetto agli aggiornamenti, alle ristrutturazioni, ai restauri, ha una sua naturale mobilità, una sua aderenza alla storia che muta e che esige nuove risposte, per questo sarebbe molto utile che la scuola, insieme a tutte le agenzie educative, diventasse un vero e proprio centro di ricerca attiva, dove le esperienze e lo studio si fondono nel desiderio comune di affrontare meglio le domande di una società che cambia repentinamente; una scuola più aderente alla realtà quindi, più allenata al dialogo e al confronto, alla dialettica umana, alla capacità di calare la teoria nella pratica, non tralasciando nulla di ciò che la natura umana, nella sua straordinaria versatilità, è capace di suggerire.

Certo l’educazione ha bisogno di gente che creda, che coltivi una fede, che conosca fino in fondo il valore e il significato di una missione, che non si lasci travisare dai divisionismi, con una chiara capacità introspettiva e investigativa. Bisogna credere nel proprio destino e soprattutto non bisogna lasciarsi disattivare dalle presunzioni, quelle che vorrebbero il via libera per qualsiasi tipo di illusione, anche quella che la libertà sia un fatto occasionale e non, invece, la somma di regole che orientano la vita individuale e quella collettiva. Anche nei piccoli paesi il valore della scuola è fondamentale, è la fonte alla quale attingere per potenziare il senso civico, per far capire meglio quali siano le responsabilità che stanno alla base di una famiglia unita, solidale, capace di aprire le porte segrete della curiosità e dell’intelligenza. Quando si vedono ragazzi che conducono una vita randagia, quando il disagio attecchisce con troppa facilità, quando la libertà diventa l’occasione quotidiana per eludere la bellezza con tutte le sue regole, quando i giovani non sanno dove sbattere la testa per trovare accoglienza e dialogo, allora sorge spontanea la domanda:

“Siamo sicuri che non sia arrivato il momento di ripensare il valore vero e profondo dell’educazione? Della sua capacità di trasformare il disagio in speranza, la ripetitività in scoperta quotidiana, il mutismo istituzionale in confronto continuo e costante, il randagismo in fruizione di fraternità umana, fondata sulla necessità di mettere mondi a confronto, di lasciare che l’anima si muova dal suo immobilismo e corra incontro al desiderio di liberare tutti i suoi umori, i suoi profumi, la sua energia, la sua coscienza, la sua voglia di immergersi nella volontà positiva di un mondo che vuole liberarsi da assurdi schematismi e da incredibili divisionismi?”.

Per cambiare bisogna ragionare, per ragionare bisogna togliersi di dosso l’idea che tutto sia già compiuto nelle segrete stanze, che il mondo abbia già le sue regole e che non si possa fare nulla per migliorarlo, per renderlo sempre un pochino di più a misura d’uomo. Forse mettendo da parte la presunzione e ritrovando la forza di una convinta autocritica e di un’attenta attività di ricerca, potremmo tentare di reinserire una ripartenza che veda tutti convinti, perché sicuri che la scuola sia davvero un bene preziosissimo, dinamico, evolutivo, un bene che si arricchisce continuamente, che ha bisogno del contributo di tutti, fuori da forme assurde di classismo didattico, di tradizioni e di blasoni, ma animata dalla convinzione che l’educazione copra davvero tutta la vita delle persone, partendo dalla famiglia.

Oggi il mondo dell’educazione si pone al centro, rivendica una propria identità, è pronto a fornire il suo straordinario contributo, ma bisogna saperlo cogliere, sollecitare, uscendo da vecchi schematismi e vecchie diatribe, dall’idea che il potere stia sempre e solo da una parte. Riaprire un sistema educativo nuovo significa ritemprare una società in crisi, rifonderle quell’energia che ha perso per strada, che non riesce più a riguadagnare, distribuire quelle certezze di cui i giovani, soprattutto, hanno bisogno per capire una volta di più quanto siano preziosi i doni che hanno ricevuto.

Felice Magnani

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