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Attualità

UOMO DEL BENE

MASSIMO LODI - 20/11/2020

È morto il 17 novembre Giovanni Leva, filantropo. Aveva 107 anni, si è spento lentamente. Negli ultimi tre giorni di vita ha chiesto nulla agli altri, tranne le preghiere. Conosciuto, nella nostra terra e altrove, per la pratica quotidiana del miracolo chiamato bontà, nello scorso mese d’agosto si fece intervistare a casa sua. Riproponiamo quel colloquio. Furono importanti le parole, ancora di più lo spirito che le animò. Oggi assumono il valore di un’ultima, munifica, affettuosa testimonianza di fede, pace, umanità.

levaGli auguri della mezz’estate ce li fa chi ne ha già passate, di queste stagioni, centosette.

Si chiama Giovanni Leva, è di Comabbio, nato il 14 giugno 1913. Vive da sempre per gli altri: vocazione al servizio. E servizio alla vocazione. Nel senso d’obbedienza al richiamo alto d’una misericordia che in migliaia di casi s’è declinata nelle intuizioni utili ad alleviare la sofferenza. Perfino a guarirla.

È un pomeriggio di sole arancione, brezza carezzevole, ombre desiderate. Una rinfresca la sua camera, in via Piave, duecento metri dal lago dove in gioventù era solito pescare. Il lettino da ospedale guarda la finestra di fronte, persiane sempre aperte. La luce, prima di tutto. Giovanni è ancora convalescente dopo la frattura d’un femore. Buon recupero, dicono i suoi affetti cari.

Giacca del pigiama a righe bianche, celesti, blu. Nel taschino un fazzoletto portato con eleganza, a mo’ di pochette. Blu anche i pantaloni. Tre cuscini ad ammorbidire la posizione supina, un lenzuolo color acqua di mare protegge le gambe. Intorno, quadri di paesaggi e figure. Anche un crocifisso, forse di mano barocca. Medicine e strumenti sanitari disposti un po’ ovunque, a iniziare dal ripiano del comò d’una volta.

In uscita da labbra di sottile biancore, che fanno da ‘pendant’ con residuali capelli sulle tempie, la voce è chiara. Le parole sono distillate con precisa lentezza, lo sguardo gira mobilissimo. Una fatica l’ascolto, ma lo aiuta l’auricolare, solo talvolta causa d’improvvisi gong. O qualcosa del genere.

-Che estate è, caro Giovanni?
“Come le altre. Se uno sta in comunione col mondo, vi sta sempre. È l’ambiente ad adattarsi a noi, non il contrario. Certo, l’ambiente dobbiamo conoscerlo, per essergli amici”.
-Lo siamo?
“Cerchiamo d’esserlo. Dobbiamo cercare”.
-Cosa significa per te il Ferragosto?
“Riassume la solidarietà ricevuta dopo l’incidente. In ospedale, fuori dell’ospedale”.
-Mondo caritatevole?
“Più di quanto si creda. La pietà è il suo motore”.
-Quella che hai sempre praticato…
“Senza faticare. Inclinazione naturale. L’avverti dentro, la regali fuori”.
-Hai fatto migliaia di doni…
“Mi chiedevano, ho dato. Sentivo di dover dare”
-La natura t’ha gratificato di uno speciale talento…
“Ciascuno ha il suo. Io mi sono accorto d’averlo quand’ero militare. Seconda guerra mondiale, reggimento alpino. Tanti feriti, innumerevoli morti, un dolore continuo. Mi resi conto di poter essere d’aiuto”.
-Anche dopo, tornato nella vita civile…
“Sì. Mi domandavano pareri su uno stato di salute, sull’altro, su un altro ancora. Chiedevo la risposta al mistero che è dentro me stesso, la trovavo, ne facevo partecipe chi l’aveva sollecitata”.
-Una fila d’ammalati…
“E di medici. Sono nate frequentazioni ripetute, amicizie durevoli. È l’empatia: tu credi in me, io credo in te. Prende anche il nome di fluido dell’esistenza”.
-In un cassetto hai migliaia di foto: testimonianza di quest’empatia?
“Proprio così. In alternativa, possiamo definirla fratellanza”.
-È quella che ti ha indotto a costituire un gruppo di preghiera?
“È quella. Con lo scopo di condividere l’unica vera ragione di vita: l’amore”.
-Obiettivo centrato?
“Sempre perfettibile. Bisogna volersi bene, quando non ce lo si vuole. E volersene sempre di più, quando già ce lo si vuole. Mai giudicare, sempre perdonare”.
-Orgoglioso della tua missione di bontà?
“Affatto. Non conosco l’orgoglio. È stato ed è un servizio, null’altro”.
-Chi è il datore di lavoro di questo servizio?
“Gesù. Me l’ha proposto, gli è stato obbedito. Gesù è tutto. È ciascuno di noi. È l’universalità umana”.
-Servirla, d’accordo. Ma come?
“Aprendo a chiunque, ascoltando chiunque, soccorrendo chiunque”.
-Per essere in pace con sé stessi?
“Per essere sé stessi. Se no, la pace ci sfugge. Non arriviamo a conoscerla”.
-Cosa pensi delle tante traversie d’oggi?
“Che sono superabili. Se si fa, invece di limitarsi a promettere di fare”.
-Giudizio politico?
“Sì. Ma non solo. Estensibile al di fuori della politica”.
-Come t’immagini l’Aldilà?
“Come la mia religione mi ha spiegato che è. Idem vale per gli altri. Per tutte le confessioni”.
-Dunque ci ritroveremo insieme: diverse fedi, un eguale destino…
“La spiritualità è un cielo di riposo eterno senza distinzioni”.
-Riposo equivale a serenità?
“Ad animo lieto”.
-La leggerezza della beatitudine?
“La beatitudine della leggerezza”.
-È questa la nuova vita che ci aspetta?
“Una delle nuove vite. Lo spirito va e torna”.
-Da un essere umano all’altro?
“È viaggiatore, lo spirito. E gli garba sostare qui e là. Dentro tizio, dentro caio”.
-Ce ne fidiamo?
“Dobbiamo fidarcene. È l’assoluto. Con la lettera a maiuscola”.
-Giovanni, qual è il tuo colore preferito?
“L’azzurro”.
-Lo ritrovi, in questa estate?
“Lo vedo, lo ammiro, lo amo”.
“Nonostante l’epoca di sconvolgenti traversie sanitarie?”
“Nonostante tutto”.
-Azzurro come amore. A&A?
“Ecco, sì. Come infinito amore”.
-Che Ferragosto sarà?
“Di preghiera. C’è sempre chi è disposto a sentire le nostre parole, non dobbiamo trattenerci dal fargliele arrivare. Saprà che uso farne”.
-È una benedizione arrivare a centosette anni?
“Lo è nascere. A seguire, il resto. Sino alla fine, che è un nuovo principio. Come il sole che sorge ogni giorno, e a Ferragosto sembra ancora di più”.
-Grazie caro Giovanni…
“Grazie a chi non mi dimentica nel suo ricordo quotidiano. Io faccio altrettanto. Lo farò ovunque. Sempre”.
 
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