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Noterelle

SCIENZA MISTERIOSA

EMILIO CORBETTA - 27/11/2020

equipeIl lavoro è fondamentale per dar dignità all’uomo ma altrettanto fondamentale è saper lavorare. Purtroppo non tutti hanno questa sapienza, per cui sono numerosi coloro che lo subiscono e non riescono ad essere protagonisti attivi del loro lavoro.

Il lavoro viene a far parte delle numerose sofferenze cui si va incontro nel corso della vita e a cui l’uomo non sa trovare giustificazione; egli non trova il perché di questo penare, il perché del dolore nella vita e nel corso della storia ha cercato e formulato numerose ipotesi giustificative.

Tra queste giustificazioni abbastanza comune sostenere che la sofferenza nel mondo c’è a causa degli gli errori commessi. E così gli amici di Giobbe lo consideravano un peccatore … Conclusione del nostro elementare senso di giustizia? C’è da discuterne a lungo!

Perché tutti questi ragionamenti piuttosto ovvi?

Perché veder lavorare è sempre stata una grande passione fin dalla mia infanzia. Passavo ore accoccolato sul davanzale della finestra a guardare un vicino che scolpiva il legno, oppure un ortolano vangare, zappare, pulire le aiuole, o un muratore mettere con estrema precisione un mattone sopra l’altro: bellissimo veder comparire un qualche cosa che prima non c’era. Molto affascinante spiare i meccanici mettere a punto le auto di allora. Era appena finita la guerra e l’officina era sistemata alla bell’e meglio in un cortile per cui era facile intrufolarmi tra le macchine. Ricordo che trasformavano camion lasciati dall’esercito americano, i famosi Dodge, in mezzi ad uso commerciale che furono molto utili per l’economia di allora: quante scintille sprigionava la saldatrice elettrica su quelle carrozzerie!

Ora per strani eventi della vita mi capita di dover vedere una équipe di infermieri e medici lavorare per “far guarire”. Si è capovolto tutto: non più bambino, ma anzianotto, ancora guardo lavorare. Ciò che affascina è la scienza misteriosa e profonda che sta dietro ai loro gesti, che trasforma ore di studi, di esperienze, di continuo lavorio dei neuroni cerebrali, di infinite ricerche in mezzi e modi per debellare la sofferenza, per far guarire …L’estrema abilità a infibulare una vena e far correre misuratamente un farmaco realizzato con ricerche innumerevoli, con studi sulle cellule non più perfette che lo devono ricevere, con numerosi pazienti che si sono sottoposti a far da volontari per valutare vantaggi e inevitabili contro indicazioni di una certa molecola, e poi la preparazione della sacca realizzata da mani esperte, sacca assolutamente sterilizzata, preparata in ambiente con studiati flussi d’aria anche per proteggere il preparatore da possibili avvelenamenti ……ed infine ecco lì la terapia. Nel contempo continuo controllo del ritmo del respiro, del battito cardiaco, del tasso di ossigeno nel sangue, della pressione arteriosa e quant’altro.

Ma c’è molto molto di più: i componenti della équipe si sono dovuti preparare, hanno sacrificato ore nello studio, a loro sono stati dati insegnamenti particolari, hanno lavorato sulle psicologie, hanno passato ore lontani dai divertimenti dei loro coetanei, devono essere in numero giusto nella équipe, devono saper contattare pazienti dai caratteri molto diversi, ma inevitabilmente tutti stressati dalla patologia che li tormenta: “Guarirò o questa malattia segna la mia fine?”. Interrogativo istintivo, non molto banale, talvolta non ammesso ma presente nell’inconscio dei pazienti.

Non è facile saper lavorare in qualunque occupazione e si deve saper sempre combattere con lo spauracchio del “sempre” incombente errore. Ricordo un bravissimo appassionato cardiologo passare dal rammarico alla tensione al disappunto al dolore davanti a un tracciato elettrocardiografico di un paziente mancato. I suoi occhi vedevano continuamente quella linea seghettata, ma la sua mente passava e ripassava tutta la sua conoscenza della patologia cardiologica. Era lì intento, poi improvvisamente scuoteva il capo: non c’era stato errore ma qualcosa era sfuggito, secondo lui.

Oggi con l’ampliamento delle conoscenze e delle tecnologie a disposizione le possibilità d’errore sono diminuite, il nostro potere diagnostico è aumentato ed aumenterà ancora, ma per far questo ci vuole quel qualcosa che comunemente chiamiamo “passione”.

Si, senza passione non si sa lavorare bene e non si ottengono i risultati voluti o per lo meno sperati. Ecco, forse è questa la sofferenza interiore e la grandezza del lavoro.

Purtroppo la passione, se non controllata, può far deviare dal vero scopo in molte discipline, e forse è in campo economico che si è portati a esagerare negli intenti: qui si punta al profitto dominante e lo sforzo produttivo diventa fine a sé stesso dimenticando l’uomo, come spesso sottolinea papa Francesco.

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