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Opinioni

MARZO 1821, MARZO 2021

RENATA BALLERIO - 19/03/2021

1821Corrado Augias ha firmato il 12 marzo su La Repubblica un articolo intitolato “A che punto è l’Italia”. Affermazione non domanda. Anzi un’affermazione convinta per cui Augias sostiene che “a 160 anni dalla nascita il Paese è migliore nonostante il Covid, ma con mancanza di orgoglio e con tendenza generale (stampa compresa) all’autocommiserazione”. Fine del virgolettato che richiederebbe la lettura completa dell’articolo. La ricorrenza, però, legittimerebbe qualche domanda. Ricordare magari le celebrazioni del 2011? Ma si sa che, volte, è più difficile ricordare ed esaminare un decennio recente che altri lassi temporali. E non solo per la solita diatriba tra storia e cronaca. Ma se pensiamo che i nostri quindicenni avevano allora cinque anni, forse il commento sarebbe più facile. Osservazione quasi banale, ma non scontata. Ricordare che anche lo scontato ha in sé briciole di verità non è poi così ovvio e aiuta a cambiare punto di vista. Se ai maestri di opinioni spetta questo compito, sulla scia degli anniversari può essere opportuno ricordare un’altra data: Marzo 1821.

L’ode manzoniana, relegata non tra i migliori ricordi scolastici, offre a tutti un altro punto di vista, indipendentemente dal valore letterario, un pochetto discutibile.

Senza nulla insegnare a nessuno, alcune note potrebbero essere utili. Il componimento fu composto proprio nel 1821, non pubblicato in quell’anno bensì nel 1848. Tenuto in un cassetto per prudenza o, forse addirittura, solo nella memoria del Lisander. Date lontane ma accomunate da eventi storici. A Alessandria il 10 marzo proprio del 1821 una guarnigione insorse e sperò nell’aiuto di Carlo Alberto per convincere il re sabaudo ad attaccare l’Austria. Sembrava che tra il 14 e il 15 marzo l’invasione fosse inevitabile. Questo era il convincimento che ci ha tramandato Federico Confalonieri nelle sue Memorie. Ma come si sa la storia, fatta dalle scelte degli uomini, andò diversamente. In quei giorni di marzo Confalonieri e Silvio Pellico furono arrestati e Carlo Alberto, l’Italo Amleto secondo la definizione di Giosuè Carducci, diede prova di tutta la sua ambiguità. E l’entusiasmo del moderato Alessandro Manzoni fu congelato fino alle Giornate di Milano, 18-22 marzo 1848. Insomma, marzo sembra punteggiare la storia risorgimentale italiana.

Ma che cosa ci dice oggi, dopo duecento anni, la più politica delle odi manzoniane? Componimento patriottico-risorgimentale, connotato da una visione religiosa della storia, provvidenzialmente intesa, ma con la capacità di inserire il problema italiano in una visione etica più che politica. E qui bisogna ribaltare l’altra affermazione manzoniana: non ai posteri l’ardua sentenza ma alla nostra coscienza. Almeno alla nostra coscienza civile.

L’ode non può essere giudicata – mai come ora – con valutazioni poetiche, ma sul piano dell’etica politica, correndo magari il rischio di una attualizzazione. Certamente pericoloso anacronismo ma provocatoriamente utile. Cara Italia! Dovunque il dolente/ grido uscì del tuo lungo servaggio, scrive ai versi 72-73 Manzoni. Oggi quali sono i nostri dominatori? E chi si sofferma sull’arida sponda, ricordando il celebre incipit dell’ode. E che dire dell’appello all’ unità che serpeggi nei 105 versi?

Ha ragione Augias quando afferma che non abbiamo bisogno di autocommiserazione. Ma abbiamo bisogno -a nostro avviso- di energica speranza e di lungimiranza, per non dimenticare la dolorosa invettiva dantesca: Ahi, serva Italia, di dolore ostello.

Forse ricordare le date di marzo, e non solo il 17 marzo 1861, male non fa. Fiduciosi nella forza della primavera.

Non è quindi una forzatura rileggere le parole di Papa Francesco, il vero leader morale dei nostri giorni. Parole pronunciate ricordando il sindaco La Pira. Disse: oggi ci vuole primavera. Oggi ci vogliono profeti di speranza, che non abbiano paura di sporcarsi le mani. Marzo 1821 ci ricorda che cosa significa non trasformare la speranza in azioni.

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