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Cultura

FOTO DI CLASSE

CARLO MEAZZA - 26/03/2021

Classe terza A Liceo Classico Cairoli di Varese

Classe terza A Liceo Classico Cairoli di Varese

Da diversi anni faccio le tradizionali fotografie di classe al Liceo Classico Cairoli di Varese. L’anno scorso, per le ragioni che sappiamo, le scuole erano chiuse e così niente fotografie. Mi era spiaciuto molto in particolare per gli studenti dell’ultimo anno che lo terminavano stando a casa, da soli e senza quel ricordo fotografico della loro vita di studenti. Quest’anno il Preside, professor Consolo, ha deciso nonostante le difficoltà di fare, rispettando tutte le norme di sicurezza, le fotografie.

Qualche giorno dopo Rai Radio 3 nel programma “Tutta la città ne parla” ha fatto una trasmissione sul disagio e sull’umore dei giovani che la pandemia ha prodotto e produce su di loro. Avevo in mente bene quei giovani in quelle mattine recenti, così ho mandato un messaggio Whatsapp alla redazione di quella trasmissione raccontando brevemente la mia esperienza. Mi hanno richiamato subito e mandato in onda.

Qualche giorno dopo ho ricevuto il testo che segue a firma di Mario Bramanti, varesino, ingegnere, grande alpinista ed Accademico del Club Alpino Italiano. Mi sembra bello farlo conoscere al di là dei riferimenti personali.

 

Ascolto sempre con piacere, quando posso e mi capita di essere in macchina, le trasmissioni di “Radiotre” che propongono, oltre frequenti notiziari, programmi culturali con musica di qualità, letture, letteratura, scienza e dibattiti con esperti e pubblico connessi, sugli argomenti importanti e di immediata attualità. In questo triste periodo ricorre naturalmente spesso quello della pandemia, con i suoi sviluppi, i suoi effetti sanitari ed economici, con le problematiche indotte dall’adozione dei provvedimenti finalizzati al contenimento e alla debellazione, con l’analisi e lo studio delle reazioni indotte nei singoli o su interi gruppi. Particolarmente e a buona ragione viene considerato l’atteggiamento dei e verso più giovani in rapporto alle ricadute future che potrebbero produrre alcuni dolorosi e pur necessari provvedimenti di restrizione e di chiusura indispensabili oggi.

Era questo l’oggetto della trasmissione “Tutta la città ne parla” di qualche settimana fa: con un ampio ventaglio di opinioni considerate, con una pacata ed illuminata qualità di conduzione, con molti interventi di esperti a dire il loro parere, su differenti osservazioni del pubblico. Ne ho potute ascoltare diverse; una tra esse mi ha particolarmente colpito, accendendomi la memoria.

“Il mio nome è Carlo e chiamo da Varese – l’audizione non era perfetta ma la voce non mi è parsa  sconosciuta, e prosegue – da piu’ di dieci anni, tutti gli anni, mi chiamano per le fotografie delle classi al Liceo Classico Ernesto Cairoli; per l’anno scorso e quest’anno il preside, cioè il dirigente, ha giustamente disposto che gli studenti si spostassero nel cortile e io scattassi le foto da una finestra che c’è al primo piano; funziona benissimo, ma una cosa mi ha colpito, soprattutto quest’anno: in quella circostanza che normalmente si presta per un po’ di gazzarra, non ho visto nessuna manifestazione di allegria, tutti attenti e veloci, senza schiamazzo né occhiate tra di loro, senza entusiasmo; mi è parso con l’unica idea di far presto e ritornare in classe. Era il periodo di carnevale e nessuno, come di solito, ha provato ad indossare parrucche colorate o strani occhiali buffi e finti. Ne ho poi parlato con la segretaria che cura i contatti per la consegna delle copie, e mi confermava l’atteggiamento di assuefazione dei più, ad un contegno poco vivace, come spento”

Ho compreso quel sentimento ed ho condiviso quella sorta di titubanza nell’esposizione, giusta per la circostanza e, mi azzardo a dire, un po’ caratteristica del personaggio. Anche se sono personalmente convinto che, una volta compresa ed è stato fatto dai piu’, la prepotenza del morbo, della “bestia” con cui siamo costretti a confrontarci, occorre precederla, costi quel che costa, senza troppo discutere, con provvedimenti necessari a respingerla e non correrle dietro nelle sue diaboliche mosse.

Ma il mio pensiero stava già correndo altrove; del resto, di questa orrenda faccenda se ne parla già anche troppo, in troppe sedi, e da parte di troppi, col risultato forse, di contribuire a quella pericolosa “assuefazione”.

Ha detto che si chiama Carlo, e di essere fotografo… e quella sensazione di voce non nuova, e quel modo quasi dubitante di esprimersi… ma certo, è Lui, un caro amico, una decina scarsa d’anni minore di me, comunque già ben su con gli anni. Che da molto tempo vedo solo sporadicamente o per caso. Amico di amici, appassionato di montagna, idolo al tempo delle ragazze della sua generazione, “Omar Sharif mutatis mutandis”, appassionato di grandi escursioni, di viaggi, di avventura, di fotografia e di fotografare, appunto. Autore di molte belle raccolte bianco e nero e poi a colori, di manuali per escursioni e gite importanti, di composizioni panoramiche a giro d’orizzonte dei principali massicci alpini, curioso di indagare con l’obbiettivo tra le figure di spicco e del popolo, dei loro costumi, vizi e peccati. Uno tra i primi della cerchia varesina a scoprire la magnificenza dell’India, a decantarne l’indispensabilità per una crescita giusta e completa. Ci andò, cercò di comprendere, scattò le sue belle foto, e ne ritornò.

“Le fotografie di classe al Liceo Classico”… Era una consuetudine, una cerimonia, quella della foto di classe, in tutte le scuole, un evento atteso, non tanto come occasione per un po’ di baldoria, per la quale tutte le occasioni erano buone, quanto per avere un documento ricordo, per scambiarsi gli autografi, un commento particolare per qualcuno in particolare. Il Liceo Classico era ed è il top tra le scuole medie superiori per chi vuole proseguire senza premure speciali verso qualsiasi ramo del sapere, scientifico, letterario, umanistico. Io invece, ho seguito il Liceo Scientifico, cominciandolo convinto, come ero già da adolescente, della mia vocazione tecnica e al costruire. (…)

A quel tempo, negli anni tra il 1950 e il 1955, il Liceo Scientifico, il “Galileo Ferraris” trovava la sua sistemazione “provvisoria” nei locali dell’Istituto Commerciale Francesco Daverio e della Scuola Media Dante Alighieri, da cui provenivo, situati alla sommità di quella breve collina che si trova a nord di via 25 Aprile. Confinava ed era in parte collegato con lo stabile del Liceo Classico Ernesto Cairoli che aveva l’ingresso ufficiale da Via Dante. Come palestra tutte queste scuole utilizzavano l’adiacente salone posto sopra la sede dei Vigili del Fuoco e sede operativa delle gloriosa, allora, Pallacanestro Varese. Alla fine di una breve rampa tra gli alberi, oltre un robusto cancello in ferro battuto sempre aperto, si apriva il grande cortile a ghiaia. Un passaggio sulla sinistra portava all’ingresso dell’istituto Commerciale, piu’ avanti, sempre a sinistra, c’era l’ingresso della Dante; chiudeva il fondo un porticato su due piani, e sulla destra si trovava l’ingresso del Galileo Ferraris.

Ricordo di tante mattine che si arrivava presto e si conversava prima di entrare, dei compiti fatti delle lezioni studiate, del programma che ci attendeva, si faceva la cresta o l’elogio di qualche insegnante, di qualche compagno. I brevi intervalli di mezza mattina sulla balaustra giù in fondo sopra il passaggio per il Classico. La porta a mezzo cortile sulla destra dove ad una cert’ora la… non ricordo il nome, vendeva le veneziane o qualche panino. I trasferimenti dall’aula alla palestra e viceversa, pimpanti i primi, strabefati i secondi, per quel paio d’ore a settimana, che tra avanti, indietro e spogliatoio si riducevano di una buona metà. E le fotografie annuali: quasi sempre nell’atrio qualche volta in cortile. Otto volte è successo, per otto anni di seguito tra medie e liceo, me lo ricordo ancora, e qualcuna di quelle foto deve essere ancora in giro per casa, conservata o nascosta chissà dove. Il Barile, il Brovelli, il Chiericati, il De Polzer, la Romana, il Marinelli, il Ponf, il Brusa… li ricordo tutti, qualcuno c’è ancora, qualche altro so per certo che no. Meglio nemmeno andarle a cercare, quelle fotografie, con quella polvere che prende al naso e fa piangere gli occhi…

“Gli studenti si dispongono nel cortile ed io scatto le foto da una finestra su al primo piano”, aveva detto il Carlo. Non so se i porticati sono ancora quelli, ma io li rivedo benissimo, il cortile e il porticato a due piani quella volta dietro le spalle. Ecco la classe che si dispone serrata, una fila davanti seduta, una fila di dietro, il professore di turno su un lato, …il Contarini di disegno, la Melzi di scienze, il Braida di ginnastica, …non c’è più nessuno. E il fotografo davanti a noi che dice state fermi, e dietro le nostre spalle il monumento a ricordo col busto di Francesco Daverio, e dietro ancora il porticato a due piani, inondato dal sole di un tardo mattino di primavera. Domanderò, a chi ha studiato più tardi negli anni, magari al Carlo in persona, quali sono quel cortile e quel porticato.

Ecco, una breve intervista, beccata per caso alla radio, su di un argomento di estrema importanza ed attualità, una considerazione che mi sembra azzeccata in mezzo a tante altre che mi appaiono più  perentorie e violente, mi riporta alla memoria di una porzione di vita e a condizioni di segno completamente diverse, che tuttavia mi sembrano possedere qualcosa di complementare. Addirittura identica l’età: quella del liceo. Confrontabili le circostanze: perché allora era appena finita una guerra e tutto era da ricominciare e rifare, adesso la guerra è ancora in corso, e che guerra, ed appare evidente che l’unico mezzo attualmente a disposizione per combatterla, cioé isolamento e chiusure, sono in netto contrasto con i bisogni di una vita normale, produttiva, culturale, di svago. Aggiungo di mio, che la cinquantina d’anni di così detto benessere che ci siamo concessi e che purtroppo non tutti hanno potuto godere anzi, hanno sicuramente affievolito, in particolare nelle regioni più evolute, le capacità di sopportazione della fatica fisica, del dolore, delle privazioni dei più giovani. Ma soprattutto in loro deve prevalere un rinnovato senso di fiducia nelle proprie capacità; la convinzione che con regole migliori e facendo qualche passo indietro oggi, rispetto ai nostri più sbagliati di ieri, si potrà, potranno ripartire con un piede più giusto e sicuro incontro a un domani o un dopodomani più lento, stabile e duraturo.

Viva i giovani e le fotografie di classe…

Mario Bramanti

 

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