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Cultura

MORSELLI AL CLASSICO

LINDA TERZIROLI - 28/04/2012

Sino alla fine di maggio è aperta nella biblioteca dello storico Liceo Classico Ernesto Cairoli di Varese una mostra dedicata a Guido Morselli. Voluta da Varese Europea e da Arturo Bortoluzzi con la collaborazione dei Comuni di Varese e di Gavirate, per la regia dell’ordine degli Architetti di Varese, di Matteo Sacchetti e Simona Motta. Vi hanno collaborato il Comitato Guido Morselli, Silvio Raffo e i nipoti dello scrittore Loredana e Gianluca Visconti. Vi ha partecipato anche l’Eco Museo dei laghi prealpini, e il tutto si deve alla nobile lungimiranza di un preside illuminato ed eccellente quale è Salvatore Consolo.

Aiutando ad allestire la mostra nella scuola dove avevo studiato ormai qualche lustro fa, non lontano dunque da dove era nata in me la passione per la letteratura (complici le immortali lezioni del prof-vate Raffo), mi sono trovata tra la polvere e il profumo proustiano che da sempre è fisso nella mia memoria. L’odore dello studio, dei libri impolverati, del gesso, di pesanti vocabolari delle sorelle maggiori, delle lavagne sporche e mal cancellate, delle spiegazioni eterne e delle versioni impossibili, tra il profumo del sogno e le nebbie del disincanto. Sono tornata qui, proprio da dove venni, con un altro spirito e, soprattutto, sulle ali della volontà di restituire il messaggio nella bottiglia agli studenti che l’indomani sarebbero giunti a scuola, e che in quel momento non c’erano, mentre veniva buio, e rimbombavano i miei passi nel silenzio da assenza di scolari, che mi ricordava pagine di Dissipatio.

Così nella nuda pratica di predisporre ai giovani occhi l’itinerario della vita e dell’opera morselliana mi sono messa ad interrogare il primo, e unico, studente che mi sono trovata di fronte. Matteo Sacchetti, architetto, colui che ha progettato la mostra che vedevo prendere forma, in quel momento, a poco a poco. Ecco quel colloquio.

-Sacchetti, che cosa ha significato per lei allestire la mostra su Guido Morselli?

“Allestire la mostra di Guido Morselli è stato un privilegio”.

-Si spieghi meglio

“Allestire la mostra di Guido Morselli è stato come fare una passeggiata con lui nel giardino di Santa Trinita. Conoscere lui e i luoghi dove ha vissuto entrandoci in punta di piedi, senza fare quei rumori che lui tanto odiava, rispettando la sua quiete cercando di intuire il suo turbinoso essere alla ricerca di un’equilibrante pace. Il tutto partendo da un desiderio. Il desiderio di scrollarmi di dosso tutti i pregiudizi che avevo su di lui, condizionati dal pettegolezzo tipicamente varesino del suo suicidio”.

-E’ stato difficile affrontare un tema così delicato come quello del suicidio?

“Nel conoscere Guido Morselli e nell’allestire la sua mostra, un pensiero mi ha piacevolmente raggiunto. Nel 2011 Guido Morselli sarebbe probabilmente comunque uscito di scena, vanificando così l’aspetto drammatico del suo ultimo gesto. Ma mantenendone intatti i contenuti importanti. Mi piace pensare che Guido Morselli abbia voluto scrivere anche la fine della sua vita, con ironia e consapevolezza, come in ogni suo precedente scritto. Leggendo la lettera a Konrad Lorenz si può scorgere questa incredibile ironia. Ed è così che con Simona Motta si è deciso di optare per un allestimento ironico e consapevole. L’ambientazione del suo tavolo di lavoro, con la sua macchina da scrivere, ad esempio, ha volutamente sottolineato che Guido Morselli non è uscito dalla nostra vita. La presenza di una lampada disegnata e realizzata diciassette anni dopo il suo ultimo gesto e la decisione di non collocare nell’allestimento una sedia vuota vogliono proprio giocare sulla sua assenza/presenza nel nostro quotidiano”.

-Quale ritiene  possa essere il messaggio più importante della mostra?

“Guido Morselli non deve e non vuole essere giudicato sulla quantità ma sulla qualità. Lui ha scritto molto in vita e avrebbe potuto scrivere di più, ma poco sarebbe cambiato nel giudizio che noi diamo oggi alla sua opera. Che lui ha prodotto con ironia e consapevolezza, non definendosi quasi mai scrittore, ma preferendo Agricoltore. E parlando con lui nella camminata nel parco della casina rosa mi è venuto un dubbio. Forse quella notte tra il 31 luglio e il 1 agosto a morire siamo stati tutti noi, Humani Generis, come lui aveva già scritto”.

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