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Presente storico

BYE BYE MERITO

ENZO R. LAFORGIA - 27/05/2021

Sabino Cassese

Sabino Cassese

«Ciao Enzo, riesci a dirmi entro il pomeriggio l’argomento del tuo articolo? Mi servirebbe per l’impaginazione.»

«Caro Max, parlerò di scuola.»

Questo lo scambio di battute avvenuto martedì 25 maggio scorso tra il direttore di queste pagine ed il sottoscritto. Nella mia testa, avrei voluto fare un bilancio di quest’ultimo anno scolastico, segnato ancora una volta dall’emergenza epidemica, dall’alternarsi di momenti in presenza e momenti a distanza; di una scuola che non riesce più a riflettere su se stessa; di insegnanti che spesso non sono difendibili perché inchiodati nelle loro immacolate autorappresentazioni e nell’incapacità di ripensare il proprio ruolo perché ormai vecchi e disincantati; della sofferenza degli studenti; della preoccupazione dei loro genitori nel vederli sempre più isolati e soli. Avrei voluto riflettere, qui e ad alta voce, sulla necessità di ripensare il nostro sistema scolastico, che sembra bloccato a modelli ottocenteschi e che ha rinunciato alla propria missione principale, quella cioè di ridurre le diseguaglianze, offrendo a tutti (a tutti!) la possibilità di crescere culturalmente e civilmente sulla base delle proprie capacità.

Avrei voluto anche interrogarmi sulle mie inadeguatezze e i miei numerosi errori, su quante mie debolezze professionali la stramaledetta didattica “a distanza” ha messo in luce. E avrei voluto anche considerare le tante nuove prospettive che la benedetta didattica “a distanza” mi ha aperto, facendomi scoprire potenzialità nuove di strumenti che spesso ho guardato con sospetto. Avrei voluto parlare di tutto questo…

Ma poi, oggi, 26 maggio 2021, appena sveglio, nel dedicarmi alla quotidiana lettura del giornale, mi imbatto nell’editoriale di Sabino Cassese sulla prima pagina del «Corriere della Sera»: Il merito ritorni a scuola. La riflessione del grande giurista ed accademico italiano prende spunto dal Patto per la scuola al centro del Paese: ventuno punti sottoscritti il 20 maggio dal Governo e dai Sindacati (ben sette). Sono andato a rileggerlo. Ha ragione Cassese: «pieno di altisonanti dichiarazioni, ma privo di contenuti». O meglio, i «contenuti», apparsi in altra sede, sembrano sconfessare le belle e «altisonanti dichiarazioni». Il documento, di otto pagine, si apre con affermazioni, che abbiamo ascoltato un’infinità di volte e non solo al tempo della pandemia:

«Le istituzioni scolastiche costituiscono il volano di crescita culturale ed economica, luogo di sviluppo delle competenze per una cittadinanza consapevole e partecipativa nel nostro tessuto sociale.

Il sistema di istruzione e formazione è centrale per lo sviluppo sostenibile e per il lavoro e costituisce una infrastruttura strategica del nostro Paese […]».

Personalmente, sottoscriverei ogni parola di queste otto pagine: si parla di valorizzazione della figura dell’insegnante, della necessità di una formazione continua, di nuove procedure di reclutamento, della sicurezza degli ambienti di lavoro, del contrasto alla dispersione scolastica e della necessità di innalzare il livello di istruzione del nostro Paese, della necessità di potenziare l’istruzione tecnica e professionale, di semplificazione e armonizzazione della complessa macchina burocratica, che spesso intralcia l’azione educativa anziché facilitarla. Si parla di “visioni”, “coesione sociale”, “innovazione”, “transizione ecologica” e molte altre belle parole. Che sottoscriverei tutte.

Anche se…

Anche se tutti questi splendidi contenuti sono agganciati all’epifania salvifica del provvidenziale Next Generation EU, il nuovo Messia, che ormai evochiamo ad ogni occasione, dal momento che il suo miracoloso e splendido avvento cancellerà di colpo tutti i mali e tutte le storture secolari di questo nostro malmesso e malridotto Stivale.

I proclami, gli obiettivi annunciati, sono, lo ripeto, tutti condivisibili e, ad un insegnante ormai vecchio come me, creano l’effetto di una strana ebbrezza, molto simile a quelli di una ubriacatura. Tanto che, preso da una sorta di estasi dionisiaca, ho cercato sul web l’immagine di questo Next Generation EU, per votarmi, non avendone una, a questa nuova divinità e a tutti i suoi paradisi promessi. Il web, cinico e baro come il destino, continuava però a ripropormi l’immagine di Mario Draghi, un profeta, secondo molti, ma certo non un dio come quello che stavo cercando.

Ci ha pensato subito Sabino Cassese a riportarmi con i piedi per terra e a farmi diffidare, ancora una volta, di quelli che promettono salvezze e paradisi futuri. Perché il giurista non ha potuto esimersi dal notare che, proprio lo stesso giorno in cui venivano annunciati con tanto di fanfare i 21 punti di cui sopra, proprio in quello stesso giorno è stato approvato il decreto legge cosiddetto «Sostegni bis», poi pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» il 25 maggio. Qui, all’articolo 59, si stabilisce che, coloro i quali hanno accumulato tre anni di servizio, anche non continuativi, e avranno firmato un contratto a tempo determinato annuale, dopo un percorso formativo ed una «prova disciplinare» orale saranno automaticamente immessi in ruolo. In queste condizioni dovrebbero trovarsi circa 134mila supplenti.

La conclusione di Cassese? «Se si voleva davvero fare un patto per rimettere la scuola al centro del Paese, a questo si doveva pensare, non ad immettere precari in ruolo, al di fuori di procedure competitive.» Bye, bye, merito. Ci salverà il Next Generation EU. Ma forse, no…

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