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Presente storico

L’AVOCAZIONE TURISTICA

ENZO R. LAFORGIA - 25/06/2021

turismoUno spettro si aggira per Varese: lo spettro del turismo.

Non so perché né so bene da quando, ma in città, da molti anni, si è affermata la convinzione che il turismo sia la pietra filosofale per risolvere ogni problema. Ora, questa non è certo una novità. Sin dai primi anni del Novecento (dal 1905, se proprio vogliamo essere precisi), a Varese si impose, nel dibattito pubblico, l’idea di sviluppare una vocazione turistica per la città.

Attenzione! Non sto parlando del movimento dei signori o dei ricchi possidenti che, a partire dal Settecento, venivano qui a costruirsi le loro «ville di delizie», secondo la felice espressione usata dall’incisore Marc’Antonio Dal Re. Mi riferisco a quella nuova forma di mobilità, che interessò l’Europa proprio a partire dalla metà del XIX secolo.

Il contesto naturale nel quale il borgo varesino era collocato, la rete di infrastrutture realizzata a partire dagli anni immediatamente successivi all’Unità, la vicinanza ed il collegamento diretto con Milano, l’imminente apertura del traforo del Sempione (1906), lasciavano intravedere ottime opportunità per agganciare, anche a Varese, quella «grande fiumana di forastieri» (così si espresse Giovanni Bagaini), che da lì a poco sarebbe arrivata anche in questa zona della Lombardia. Da queste considerazioni, qui sommariamente richiamate, nacque l’idea di realizzare strutture di accoglienza adeguate ai bisogni dei touristes dell’epoca. Tutti i progetti che portarono alla costruzione dei grandi alberghi, del Kursaal, delle funicolari, nacquero da qui.

Dopo quasi un secolo, sul finire degli anni Novanta, si pensò che i turisti, produttori di affari per il nostro territorio, potessero essere attirati da seducenti campagne di marketing. Si usò proprio questa espressione: marketing. Insomma, bastava fare una buona (e costosissima) campagna pubblicitaria, mandare in giro per il mondo amministratori locali, aprire “ambasciate” turistiche nei posti più impensabili, ed avremmo risolto facilmente il problema della “attrattività” del nostro territorio (non ho mai capito perché si è imposta questa espressione nel linguaggio politico…).

Negli ultimi cinque anni, infine, si è ritenuto che la politica culturale dovesse essere la calamita per orde di turisti dai panciuti portafogli. Ed ecco che è stato partorito quell’ircocervo di un Assessorato alla Cultura e al Turismo. Le intenzioni erano forse buone, ma poi… Ma poi c’è sempre il rischio che qualcuno pensi che il prodotto culturale possa essere una merce da vendere, un’esca per l’ingenuo turista, una sorta di carta moschicida per viaggiatori. E questa, evidentemente, sarebbe un’idiozia.

Ora, come forse con più pragmatismo avevano immaginato i vari Bagaini, Molina e Ponti all’inizio del Novecento, prima di iniziare a richiamare viaggiatori, bisognerebbe verificare che la città fosse pronta ed ospitale. Certo non mancano a Varese strutture di accoglienza e di tutti i tipi e tutte di buona e ottima qualità. Ma siamo veramente sicuri che la città si presenti nelle vesti di una meta appetibile (pardon, attrattiva) per i variegati bisogni di un turismo dai mille volti? Siamo proprio sicuri che una città come Varese, da decenni pensata quasi esclusivamente ad uso e consumo delle automobili, sia proprio il luogo ideale dove trascorrere le vacanze? Per dirla tutta: mi piacerebbe che Varese diventasse veramente accogliente, che fosse per davvero un luogo dove sarebbe bello vivere e risiedere. E innanzitutto per i suoi cittadini. Ma molto spesso si pensa di giocarsi la carta del turismo per ciò che è fuori dalla città: i parchi naturali, i laghi, i percorsi naturalistici, ecc.

Questo, penso, debba essere il compito appunto della politica: immaginare come e in che modo trasformare la città per recuperare una capacità di attrazione per giovani e giovani famiglie (di tutti i tipi). L’Amministrazione guidata da Davide Galimberti credo che abbia fatto molto in tal senso. Ora si tratta di vedere i risultati di scelte intraprese e, sperabilmente, di poter continuare nel solco tracciato. Con l’avvertenza che prima ci si dovrebbe occupare della città ad uso e su misura dei suoi residenti, vecchi e nuovi; poi, eventualmente, di quell’oggetto dai confini oggi molto sfumati che continuiamo a definire troppo genericamente “turista”.

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