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Presente storico

DICKENS A VARESE CHE VOTA

ENZO R. LAFORGIA - 23/07/2021

dckensCharles Dickens aveva venticinque anni quando scrisse Il Circolo Pickwick. Il romanzo fu pubblicato inizialmente a puntate tra il 1836 ed il 1837 (per intenderci, quando ancora il nostro Manzoni era alle prese con l’ennesima revisione dei suoi Promessi sposi). La storia, molto sinteticamente, si riferisce ad un viaggio attraverso l’Inghilterra intrapreso dal maturo Samuel Pickwick, insieme a tre soci del suo circolo. Nel corso delle loro divertenti avventure (questo non-romanzo, disse Chesterton, è attraversato da un senso di «giovinezza perenne»), i tre giungono nella cittadina di Eatanswill. Nel momento in cui vi mettono piede, a Eatanswill è in un corso il confronto elettorale tra il partito dei Blu ed il partito dei Gialli. Tutto, annota lo scrittore, era lì oggetto di contesa e tutto diventava argomento di lotta politica: «se i Gialli avanzavano proposta di inserire un nuovo lucernario nel tetto del mercato coperto, i Blu indicevano un pubblico comizio per denunciare la malvagità di quell’intenzione; se i Blu proponevano la costruzione di una nuova pompa lungo la via principale, i Gialli si ribellavano compatti contro la mostruosità di un progetto del genere». Naturalmente, i cittadini di Eatanswill si consideravano oltremodo importanti e ritenevano che gli occhi di tutta l’Inghilterra e di tutto il mondo civile fossero puntati sulla loro competizione elettorale.

Chissà quali impressioni avrebbe riportato nei suoi appunti il placido signor Pickwick se fosse passato da Varese in questo periodo. Forse non si sarebbe nemmeno accorto dell’esistenza di una campagna elettorale in corso. Già… Perché se a Eatanswill tutti i cittadini erano schierati per i Blu o per i Gialli ed in ogni luogo si parteggiava e ci si divideva, qui a Varese è difficile, per un osservatore esterno, accorgersi che tra un paio di mesi si dovrà andare alle urne. Del resto, ancora la data del voto è incerta e avvolta dalla nebbia…

Pare che, qui a Varese, la campagna elettorale si consumi soprattutto sui cosiddetti Social Network, dove tutti lasciano commenti, lanciano accuse, sciorinano proclami, convinti, probabilmente, che ad ogni “like” corrisponda una persona reale ed un voto. Così come, pare, qui in città si è convinti che la vittoria elettorale sarà determinata non dalla capacità di attrarre persone (fisiche e reali), ma dalla possibilità di riunire intorno al candidato alla poltrona di Sindaco il maggior numero di liste e di simboli. Certo, la nostra scelta sarà un po’ più complicata che Eatanswill: non dovremo optare tra Blu e Gialli. Ci è stata infatti proposta una varietà cromatica tale da far impallidire anche il pittore più esperto. Ogni formazione politica, orbitante intorno ad un candidato Sindaco, offre infatti una ricca tavolozza, che va dalle tonalità più nette e decise sino alle sfumature più delicate e pallide. Insomma, all’elettore non vengono offerte idee e progetti, ma, come fa ogni imbianchino che si rispetti, viene proposta una mazzetta di colori, quel campionario di tinte, che, con gesto abile, viene aperto a ventaglio sotto gli occhi del cliente.

A complicare le cose, qui, nella nostra straordinaria cittadina, c’è poi la rivendicazione insistita, petulante e, alla fine, anche un po’ noiosa, di presentarsi come “civici”. Ci sono liste “civiche”, coalizione “civiche”, personalità che fanno del “civismo” la loro bandiera. Confesso, che al di là del puro e semplice significato della parola, non ho ben capito cosa implichi, politicamente, essere “civici”. Darei per scontato che essere “civici” sia da intendersi come qualcosa che «è proprio dei cittadini, in quanto appartengono ad uno Stato». Almeno, così è quello che ci dicono i vocabolari. Ma questo complica ancora di più le cose…

Leggo spesso, soprattutto nei proclami di coloro i quali sembrerebbero maggiormente pervasi dalla fiamma del “civismo”, che costoro si distinguerebbero da tutti gli altri per il fatto di tendere esclusivamente al “bene della città”. Questo, però, non aiuta… In tanti (secondo alcuni, troppi) anni di vita che ho alle spalle, non ricordo vi sia stato mai un candidato a qualunque posto di responsabilità che abbia dichiarato: «Va bene, da domani vi garantisco che cercherò di rendervi la vita difficile e di ridurre la vostra città ad un cumulo di macerie!». È indiscutibilmente vero che alcuni siano andati molto vicini a tali propositi, tuttavia senza mai dichiararli in modo così esplicito.

Se fossi una persona mediamente istruita, potrei immaginare che, dietro lo sbandieramento insistito e noioso, di volere “il bene della Città”, ci sia l’etica delle convinzioni assolute, delle intenzioni, dei principi non negoziabili (la «Gesinnungsethik», di cui parlava Max Weber nel 1919). Ma prima o poi, queste convinzioni andrebbero chiarite e spiegate, perché non posso credere che la politica si riduca solo alla cronaca delle buche o delle erbacce. Alla fine, infatti, chiunque sarà scelto per amministrare la città dovrà pur scegliere se spendere qualche euro per tappare una buca, tagliare un cespuglio o garantire sostegno a chi è in difficoltà. Perché, come scriveva Weber, «La politica si fa con la testa, non con altre parti del corpo o dell’anima. E tuttavia la dedizione a essa, se non deve essere un frivolo gioco intellettuale ma un agire umanamente autentico, può sorgere ed essere alimentata soltanto dalla passione. Ma quel saldo controllo dell’anima che caratterizza l’uomo politico appassionato e lo distingue dal mero dilettante politico che “si agita in modo sterile” è possibile soltanto attraverso l’abitudine alla distanza, in tutti i sensi della parola. La “forza” di una “personalità” politica significa in primissimo luogo il possesso di tali qualità».

Sarebbe molto bello se il cittadino-elettore potesse scegliere il candidato a cui delegare il potere di prendere decisioni in sua vece sulla base di accertate “qualità” oltre che su “idee” chiaramente e distintamente manifestate ed espresse. Ma forse, domani, chissà…

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