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Pensare il Futuro

ANAMEI

MARIO AGOSTINELLI - 08/10/2021

anameiAnamei è l’albero della salvezza. Nel passato come nel presente, gli Harakbut di Madre de Dios – poche migliaia di donne e uomini dell’Amazzonia peruviana – trovano in questo mito antico la forza di resistere al saccheggio delle risorse. Prima era il caucciù, ora sono le miniere d’oro clandestine a mutilare la selva e i suoi popoli. Non tutto, però, è perduto: gli indigeni, guardiani della foresta, continuano a curare le ferite di entrambi. La guarigione è, dunque, possibile, per il pianeta come per gli esseri umani. Questa è la profezia di speranza dell’Amazzonia che Francesco, il Papa della Laudato si’ ha voluto far conoscere al mondo con il Sinodo, aperto a Madre de Dios nel gennaio 2018 e proseguito in Vaticano nell’ottobre di un anno dopo. Gli accadimenti successivi hanno confermato la lungimiranza di quell’intuizione: prima il Covid, poi l’approfondirsi della crisi climatica certificata ora dagli scienziati dell’International panel on climate change (Ipcc) in vista del vertice di Glasgow, tra le ultime opportunità di cambiare rotta.

L’Associazione Laudato Sì ha presentato un documentario girato in Amazzonia ed il Papa le ha espresso direttamente un apprezzamento.

La storia è molto bella e merita di essere raccontata.

“Quando ormai la terra sarà sul punto di distruggersi, quando l’umanità si troverà sull’orlo dell’abisso,un albero ci salverà. E sarà l’albero di Anamei”.

Ad Anamei si rivolse, al principio dei tempi, il popolo indigeno Harakbut dell’Amazzonia peruviana per salvarsi dalla distruzione. E continua a farlo anche oggi per trovare la forza di resistere al tremendo pericolo che incombe su questo popolo di meno di poche migliaia di superstiti e sul resto della regione di Madre de Dios: l’estrazione dell’oro. Le miniere illegali hanno ingoiato oltre 50mila ettari di foresta, trasformando gran parte della riserva della Tampobata in una landa di terra screpolata. Insieme agli alberi, il metallo prezioso divora le vite di centinaia di migliaia di donne e uomini, ostaggio del lavoro schiavo e della prostituzione forzata. Per questo, papa Francesco ha deciso di aprire là, nel gennaio 2018, il Sinodo sull’Amazzonia.

Il mito di Anamei costituisce l’asse portante del documentario, raccontato in audio dalla poetessa Ana Varela Tafur – i cui versi sono citati in “Querida Amazonia” e in video da una grafica con disegni realizzati da bambini Harakbut.

La storia scorre come un filo rosso, cucendo insieme quattro blocchi narrativi in un unico racconto, che si snoda tra una sponda e l’altra dell’Atlantico.

Il primo presenta la febbre dell’oro e il suo impatto devastante su ambiente e popolazioni native.

Il secondo nucleo narrativo si concentra sul viaggio di papa Francesco a Puerto Maldonado, capitale di Madre de Dios, gesto che ha attirato gli occhi del mondo sulla regione e il suo dramma.

La celebrazione del Sinodo, avvenuto a Roma nell’ottobre 2019, costituisce il terzo blocco del racconto. La portata storica di un confronto ecclesiale sulla spiritualità amazzonica, sulla saggezza profonda degli indigeni e sulla possibilità di un dialogo alla pari fra culture è passato, purtroppo, in secondo piano nel tam tam mediatico. Le voci indigene esprimono lo stupore per le resistenze, dentro e fuori la Chiesa, alla prospettiva di chi li considera custodi della Madre Terra e, pertanto, alleati indispensabili dell’umanità.

A pochi mesi dalla conclusione del Sinodo, il Covid flagella Vecchio e Nuovo mondo. La pandemia costringe l’umanità sulla medesima barca. Una zattera fragile, a causa della violenza con cui l’essere umano si accanisce sulla natura, provocando le zoonosi, all’origine del virus. In una piazza San Pietro deserta, Francesco cammina stanco sotto la pioggia. Non tutto, però, è perduto. La salvezza è ancora possibile. Per tutti.

“Quando ormai la terra sarà sul punto di distruggersi, quando l’umanità si troverà sull’orlo dell’abisso, quell’albero verrà. Un albero ci salverà. E sarà l’albero di Anamei”.

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