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Il racconto

LA GRISA

MASSIMO LODI - 23/12/2021

grisaIl negozio si chiamava Iris. Stava sotto i portici di corso Roma, a fianco della cartolibreria Pontiggia, quasi all’angolo di piazza Monte Grappa: da lì lo sguardo poteva incrociare il romanismo della torre littoria. Era arredato con legni di pregio e vetrine smerigliate, vendeva capi d’abbigliamento intimo, calze e maglieria. Gl’indumenti risiedevano in cassettiere divise per generi; tavoloni rettangolari, simili a scrivanie con vellutati riquadri, scandivano geometricamente lo spazio; li presiedeva l’austera postazione di cassa, in rilievo rispetto al piano d’appoggio degli altri mobili.

Nella seconda metà degli anni Trenta fu accolta in prova una ragazzina dal corpo smilzo, i capelli lunghi e sciolti, le ciglia di farfalla, gli occhi d’un colore indefinibile -né azzurro né verde, né ghiaccio né altro- e per questo battezzata Grisa da suo fratello, il sommergibilista Achille. Grigia: a significare una neutra e insieme misteriosa tonalità, pagliuzzata da striature feline. Veniva da una famiglia povera: il padre ferito durante la prima guerra mondiale, poi emigrante in Francia, infine titolare d’una bottega di decorazioni pittoriche nella via Battisti. La madre, andatagli in sposa perché rimasto vedovo d’una congiunta di lei, aveva rinunziato a proseguire l’attività di maestra d’asilo. Le toccò d’accudire cinque figli: due suoi, tre della defunta, vittima d’una fulminante malattia.

La Grisa, superato il periodo d’apprendistato, venne assunta. Mostrando inclinazione speciale al ruolo di commessa, ne conquistò in poco tempo uno maggiore: la guida delle colleghe. E infine dell’esercizio. Entrava in naturale sintonia con i clienti, percepiva d’amblé il cambiamento dei gusti e indirizzava i padroni dell’impresa a modificare i piani d’acquisto. Aveva in dono il talento commerciale, oltre che la predisposizione all’empatia. Uno speciale cromosoma che l’accomunava alla sorella minore Piera.

Esclusa per natali dal ceto borghese, era una varesina popolare e qualunque. Aveva abitato prima a Bosto, scolara irrequieta alle elementari di via del Nifontano; e quindi in viale Aguggiari, dirimpettaia intimorita della clinica Rovera, maestosamente collocata lì di fronte. Voleva bene alla città, pur conoscendone il nascosto e puntuto umanesimo, spesso rivelato dal caustico chiacchiericcio tra i banconi dell’Iris. L’intrigava invece il bonario e divertito canzonare, uno stigma lieve che recava in sé fin da piccola.

Sposatasi dopo la Seconda guerra mondiale, decise d’archiviare il rapporto di lavoro quando i titolari le proposero il trasferimento nel Comasco, dove intendevano aprire una bottega di maggiore prestigio. In attesa d’un figlio e col marito alle soglie d’una avventurosa svolta professionale, da geometra a giornalista, preferì rinunziare mettendosi al servizio della famiglia. Compito/missione cui si dedicò con puntigliosa obbedienza al dovere, stabilendo regole precise che avrebbe fatto rispettare senza deroghe. Proprio come all’Iris: amorevole rigore.

L’affermazione professionale del consorte, diventato nel giro di pochi anni direttore dello storico quotidiano locale, non l’indusse a modificare le abitudini. Tantomeno ne allertò le pretese. Al contrario, diede inchiostro al suo profilo di donna semplice e concreta. Chiamata da obblighi di moglie a un tot di frequentazioni sociali, ridusse all’indispensabile la presenza pubblica. Non dichiarava il virtuosismo umile, limitandosi a praticarlo con disincanto. I fatti anziché le parole. E questo fu un tratto di sobria bosinità, cui l’elegante ex ragazzina in grembiule blu, con la scritta Iris ricamata sul bavero, non venne meno. Ovviamente nell’indifferenza dei più: così succede alla gente comune, che la gente non comune tiene ad altezzosa distanza, sfuggendole il significato d’un riguardo di sensibilità incomprensibile all’occhio elitario.

La Grisa, che restò sempre la Grisa, aveva per nome Mariuccia. Il 28 gennaio del 2022 sarà il silenzioso centenario della sua nascita. Non una giornata particolare, ma uno di quei particolari che fanno una giornata degna di memoria.

*Dal Calandari d’ra Famiglia Bosina par ur 2022

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