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Noterelle

SULLA PELLE

EMILIO CORBETTA - 27/05/2022

deportazioneLungo tutti i secoli del passato i poveri, i deboli, gli indifesi, i così definiti “poveri diavoli” hanno vissuto sulla loro pelle tante grandi sofferenze, sfruttamenti, abusi da parte dei potenti che si ritenevano in diritto di farlo. Ora in certi luoghi tutti questi “soprusi” sono addirittura regolati da leggi perverse.

I paesi possessori di colonie nell’800 avevano trovato conveniente alleggerire l’affollamento delle prigioni nazionali deportando i carcerati nei territori coloniali. Ma a far cosa? A lavorare per vivere scontando la pena. Lavori forzati…. Riduzione allo stato di schiavitù di esseri umani, alla faccia della condanna della schiavitù stessa.

Negli anni ‘60 circa In Francia il fenomeno fu reso famoso da opere letterarie e film ambientati in colonie penali della Guyana francese; invece la Gran Bretagna ha deportato nei vasti territori dell’Australia.

Nei primi decenni del 900 governi a regime autoreferenziale credettero risolvibili altri problemi legati alla insufficienza di mano d’opera in certe aree, o addirittura a necessità di bonifica, trasferendovi forzatamente (o invogliandoli offrendo facilitazioni di vita) soggetti che non sarebbero mai andati in quei siti di loro spontanea volontà. Troppo spesso i risultati furono negativamente drammatici.

Vennero definiti “movimenti migratori”, ma erano vere e proprie deportazioni di intere popolazioni che oltre tutto non sarebbero mai state proprietarie dei terreni perché nazionalizzati. Il fenomeno fu vissuto in molte aree europee, ma anche oltre i confini di questo piagato continente.

Addirittura l’Inghilterra ha cercato con questi metodi di risolvere problemi sociali, come quello degli orfani, portando anche questi in Australia, ma con organizzazioni rigide, drammatiche dal punto di vista psicologico, con uso della punizione come metodo educativo.

In certi periodi secondo alcune ideologie la famiglia non era più vista come cellula base per una buona società, anzi era di intralcio e si cercarono quindi altre soluzioni con risultati piuttosto negativi.

Ho avuto modo di assistere ad interviste fatte ad orfani, oramai maturi vecchietti, che hanno vissuto questa esperienza e confessano di aver avuto infanzie ed adolescenze piuttosto infelici e di avere ancora sequele strazianti nella vita anziana. Si rimane scioccati dalla denuncia di mancanza di amore e di affetti di cui si ha sempre bisogno. Dolorosa poi la denuncia di essere stati vittime di soprusi e violenze che lasciano sempre il segno.

A ben guardare certi eventi che stiamo vivendo ora in modo drammatico portano i segni di quelle migrazioni imposte allora. Dove ora infuria la guerra nel 1932 furono deportate popolazioni numerose con conseguente grave carestia. E con la guerra ancora oggi si impongono troppe migrazioni di gente in lacrime, senza speranza.

Personalmente ho potuto constatare la presenza di disagi, oserei dire piaghe, causate dalle esperienze di quegli anni in una regione disgraziata come la Armenia, prima sottoposta a gravi eventi di pulizia etnica, poi governata da ideologie molto seguite di quei decenni con distruzione di identità tipiche legate alle culture locali, pur se qui le “immigrazioni” furono limitate.

Praticamente si constata che non è facile, se non impossibile, integrare popolazioni diverse tra di loro nel giro di qualche generazione, specialmente poi se si prendono le decisioni applicando ideologie retoriche negativiste di certi bisogni psicologici delle persone. La situazione si aggrava ulteriormente se si prendono atteggiamenti di paura, di rivalsa nei confronti di quelli considerati stranieri, arma purtroppo usata da polifitici alla caccia del consenso.

Tutte manovre dolorose “fatte sulla pelle” dei poveri, ripeto.

Il dramma attuale nostro è di vederci impossibilitati ad essere di aiuto a queste vittime ed è veramente difficile riuscire a escogitare soluzioni, rese complesse dalla inevitabile diffidenza presente in tutti.

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