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Ritratti

PITTORE MUGNAIO

MAURO DELLA PORTA RAFFO - 05/01/2023

Innocente Salvini: Autoritratto

Innocente Salvini: Autoritratto

“Piccolo di statura, asciutto di faccia, schivo, non troppo estroso, si limitava come bardatura esterna a vecchi doppiopetto grigi, un cappellaccio color tortora dalle larghe tese e una capigliatura abbondante”.

Così, Piero Chiara, scrivendone poco dopo la dipartita nel febbraio del 1979, raffigurava il buon Innocente Salvini “pittore, nato novant’anni fa a Trevisago in provincia di Varese e vissuto senza uscire dal mulino nel quale si era stanziata la sua famiglia che era una famiglia di mugnai”.

Innocente…mai come in questo caso il nome ha pienamente rappresentato l’uomo che lo portava.

Vecchio da sempre (lo vidi per la prima volta ad Arcumeggia quando mio padre pensò bene di affidargli l’incarico di eseguire un affresco sui muri di quel borgo e già appariva centenario), Salvini, stranoto in tutto il Varesotto e praticamente sconosciuto già dalle parti di Milano – dove, comunque, ogni tanto, qualcuno gli organizzava una mostra la cui eco peraltro si esauriva immediatamente – era un ottimo disegnatore che si esprimeva attraverso tre soli colori, il rosso, il giallo e il verde, che dominavano la sua tavolozza.

Prigioniero della leggenda che lo voleva ‘pittore/mugnaio’, non riuscì mai, profondamente soffrendone, ad uscire dal guscio per quanto di certo assai più meritevole di molti altri che, invece, avevano in qualche modo saputo conquistare una fama non solamente locale.

Da anni il suo mulino, posizionato sul fiume Viganella esattamente al confine tra Cocquio Trevisago e Gemonio, si è trasformato in museo ed un museo che merita una visita come quella che nel 1966 colà a Salvini fece Piero Chiara (e gli ero muto compagno) che così ne riferiva:

“Il cortile era quale lo avevo visto nei suoi quadri, con tutto quel che deve avere un cortile di campagna: case basse intorno, stalla, fienile, pollaio, stabbio del porco.

Su di un lato c’era il mulino, cioè uno stanzone ingombro di tramoggie, buratti e trasmissioni varie, con la ruota di ferro all’esterno immersa in una roggia, ma oramai ferma da tempo.

Il mulino era in verità il deposito delle tele di grande dimensione che il Salvini aveva dipinto in tanti anni e che teneva gelosamente per sé, sempre in attesa di quelle grandi mostre nazionali e internazionali che un giorno o l’altro avrebbero rotto il silenzio su di lui…pittore, pieno di entusiasmo per l’arte e accanito nell’inseguirla, nell’identificarla e nell’adattarla al suo estro e alle sue visioni, se non forse nell’adattare estri e visioni sue al modello ideale dell’arte”.

Fra i due, lo colsi immediatamente, non poteva correre buon sangue.

Piero apprezzava – e lo dava a vedere esplicitamente essendo incapace, salvo che in faccende di donne, di mentire –  Innocente per quel che era (o, forse, meno ancora) e non per quel che Innocente riteneva essere.

Salvini ricambiava con qualche sguardo di sfuggita non pienamente controllato nel quale mi capitò di cogliere una sottesa antipatia.

Alla fine, visitati che ebbimo al suo seguito i locali che si affacciavano al cortile ed osservati gli affreschi con scene familiari situati sotto il portico, quasi automaticamente, tornò a sedersi sulla panchetta che già lo accoglieva al momento del nostro arrivo.

Rientrava così, per abitudine, nel cliché che gli avevano appiccicato: quello appunto del pittore/mugnaio, fermo davanti al suo mulino, le macine contro i muri, gli animali d’attorno e tutto quanto da sempre figurava nei suoi quadri.

Prima di andarsene, Chiara gli promise un pezzo che poi gli mandò dattiloscritto.

Ecco, e sono le sue parole, come la faccenda andò un po’ tristemente a finire:

“Mi rispose con una lunga lettera, che penso sia un documento utile per una sua storia, ma del mio scritto non si servì mai in nessuna occasione.

Lo tenne fra le sue carte, dove forse è ancora, ritenendolo un po’ riduttivo e non adatto come presentazione di un catalogo”.

Freddo tra i due da allora se è vero che le poche volte che si incontravano in qualche occasione ufficiale, Salvini, alle festose accoglienze di Piero che, forse desideroso di accantonare ogni possibile dissapore, gli si faceva incontro sorridendo, rispondeva sì scappellandosi, come gli era d’uso, ma anche porgendo con evidente ritrosia la mano quasi sperasse che l’altro non la vedesse.

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