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Diario

L’AMBULATORIO CHE TI È AMICO

CLAUDIO PASQUALI - 26/05/2012

Terminato il liceo classico scelsi senza alcun dubbio Medicina, perché volevo dedicare la mia vita alla cura degli ammalati. Quando mi laureai andai a lavorare come primo  impiego all’ospedale Del Ponte. Non avevo ancora chiaro quale fosse la mia strada e che la mia formazione medica andava completata con un’esperienza diretta in pronto soccorso e nel reparto di medicina interna che mi attirava, più che la chirurgia e le altre  discipline.

Erano quasi sei mesi che andavo  in ospedale  quando un giorno mi telefonarono dall’INAM: un medico di famiglia a  Laveno aveva avuto un infarto e cercavano un sostituto con urgenza, in quanto aveva in carico circa tremila assistiti ed i colleghi non erano in grado do sostituirlo. Io mi resi subito disponibile perché era un mio desiderio poter fare il medico di famiglia, ma non appena laureato, almeno con qualche anno di esperienza. E così iniziai con notevoli sacrifici  e notevole impegno professionale l’attività, che allora comprendeva anche i turni di notte, di sabato e  domenica. Quindi mi trasferii a Laveno con la famiglia. Alma era contenta della mia scelta che condivideva. Potevo svolgere la mia attività liberamente senza dipendere da primari od aiuti.  In quei tempi soprattutto nei paesi di provincia il medico di famiglia insieme al parroco e al farmacista godeva di una notevole considerazione tanto che i pazienti prima di recarsi in ospedale  si recavano sempre da me per una visita e un consiglio.

Non essendoci ancora molti specialisti dovevo essere esperto un po’ di tutto. Inoltre la diagnosi era quasi esclusivamente clinica e si basava sull’esame obiettivo e la semeiotica, ormai quasi abbandonata, più che sugli esami diagnostici non essendoci ancora allora tutti i mezzi di oggi  come la Tac, la Risonanza magnetica e l’Ecografia.  All’inizio della professione avevo sempre paura di sbagliare per cui ricorrevo spesso ai consigli di miei colleghi ospedalieri. Poi mentre acquisivo esperienza acquisivo anche competenza e sicurezza. I pazienti erano abituati a chiamare spesso a domicilio ed anche di notte. Ne avevo in cura circa tremila.  Quindi con il massimo degli assistiti ed il  massimo della mia disponibilità nei loro confronti le mie giornate erano vissute molto intensamente ed ora ho il rimpianto di non avere dedicato abbastanza tempo alla famiglia. Nonostante questo le bambine sono cresciute bene e con Alma c’erano un’intesa ed un amore sempre molto intensi, anche se lei non era da meno per impegni di giornalista professionista, nel campo politico e nel campo sociale.

Ora le cose sono radicalmente cambiate in quanto sono entrati in attività i pediatri di libera scelta, che per regolamento acquisiscono i neonati alla nascita e li mantengono sino a sei  o quattordici anni. Le strepitose innovazioni tecnologiche della diagnostica per immagini dall’ecografia alla Tac e alla RMN hanno poi contribuito a rivedere l’approccio ai problemi del paziente, rendendo molto più facile effettuare diagnosi al paziente. Il paziente però ora per poter usufruire subito di esami che richiederebbero ticket salati e a volte settimane di attesa preferisce presentarsi al pronto soccorso, dove la medicina difensiva dei medici di guardia lo sottopone ad una serie di esami completi.

Inoltre  per molte patologie sono sorti numerosi centri di riferimento come per la terapia del diabete e dell’ipertensione, del dolore eccetera. Però io cercavo e cerco sempre di curarli direttamente delegando i casi più complicati e complessi agli specialisti, ed ai centri di riferimento con i quali collaboro e sono molto affiatato. Una dote importante per il medico di famiglia è quindi sapersi relazionare con i suoi colleghi specialisti in centri di eccellenza ove inviare con fiducia che vengano assistiti al meglio i propri pazienti. Ho attraversato il periodo degli anni ‘80 e ‘90 curando i tossicodipendenti e i malati di aids che morivano con una elevata percentuale un quanto non esistevano ancora cure efficaci. Inoltre nei primi anni ‘80 ho assistito impotente alla pazzesca riforma  della psichiatria con la dimissione indiscriminata di tutti i pazienti psichiatrici con la chiusura dei manicomi ipso facto. Molti purtroppo si tolsero la vita.

Attualmente la nostra professione è cambiata  molto: i giovani stanno in famiglia sino oltre l’età adulta.  Non si sposano che raramente in età avanzata, e pochi hanno figli perché non credono nel mondo in cui vivono, quasi tutti provano una convivenza essendo la coppia insicura di sé per un amore duraturo e fedele, circa il cinquanta per cento dei quarantenni poi divorziano e gli anziani non  autosufficienti vanno alla casa di riposo. Abbiamo in cura molti extracomunitari, alcuni senza permesso di soggiorno e privi di assistenza cui personalmente dedico le mie cure gratuitamente. Diversi sono ammalati di aids e di tubercolosi. Devo riconoscere a loro merito che sono molto rispettosi e hanno una stima molto maggiore di me che gli abituali pazienti. Soprattutto si capisce che si fidano e non pongono in discussione la diagnosi e la terapia.

Medici di famiglia, professione che si è dissolta? Forse non è più come un tempo perché le famiglie vere si riducono sempre più. E poi ora tutto congiura contro la famiglia a partire dalla crisi economica. Ma constato che è cresciuto  in molti il bisogno di sicurezza e di certezze che vadano al di la della sicurezza economica. Nel rapporto  con i pazienti in questi ultimi due tre anni mi sembra di percepire che vi sia un grande desiderio di verità, di onestà e del bene. Mi sono detto che se vogliamo cambiare questa società in meglio ciascuno deve partire dal suo campo d’azione. Io personalmente se svolgo bene la mia professione ritengo di dare un contributo al bene  di tutti, ed è quello che non mi stanco mai di ripetere ai mie pazienti, chiamiamoli, fratelli e sorelle, invitandoli a fare bene quello che sono chiamati a fare nel loro piccolo mondo. Con i miei pazienti dopo aver risolto il loro problema clinico, mi trattengo sempre a scambiare delle opinioni in merito alle difficoltà che stiamo vivendo, coltivando anche un rapporto di amicizia. Il che mi permette anche di dare testimonianza alla fede in cui credo.

Cerco di mantenere unite le famiglie in crisi, e cerco di dissuadere dall’aborto le madri che rifiutano la gravidanza e di indirizzarle al centro di aiuto alla vita. Nell’assistere i moribondi cerco di essere presente e coinvolgere tutti i parenti all’evento della morte, che è il sigillo della vita. La malattia che colpisce un congiunto è l’occasione per rinnovare l’amore e la dedizione reciproca che coinvolge tutta la famiglia. Dopo circa quarant’anni di professione conoscendo le malattie dei nonni cerco di prevenirle nei figli e nei nipoti.  Con una medicina di iniziativa.

Dopo tanti anni di professione medica comincio a capire ora come svolgere l’attività di medico di famiglia, riscoprendo soprattutto la necessità di saper ascoltare i bisogni, di mantenersi umili, nel non ritenersi depositari della verità, ma accettare di confrontarsi con i colleghi, e dare soprattutto ai pazienti il calore umano di un sorriso di accoglienza e di congedo che costa poco ma da tanta fiducia, anche se nel cuore hai la tristezza e la stanchezza ti opprime. I pazienti oltre che di una diagnosi e di una terapia, hanno bisogno di un supporto umano e di un riferimento alle loro ansie e paure davanti all’evento nuovo che non conoscono della malattia, noi non possiamo essere dei tecnici, l’ospedale un’azienda e la patologia da curare un prodotto solo con un costo economico. Occorre restituire un volto umano alla nostra professione per contribuire a ricostruire il tessuto sociale lacerato da tante divisioni e dalla perdita dei valori fondamentali del rispetto e tutela della vita, che nella famiglia ha la sua origine e termine.

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