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Ritratti

FAUSTA E IL GRILLO

MAURO DELLA PORTA RAFFO - 31/03/2023

cialenteVi ho già detto di Cocquio Trevisago e di come questo strano e stranamente disposto paese, dividendosi in frazioni le più diverse tra loro, occupi dalla pianura alla collina ampi spazi del territorio che da Gavirate si protende verso Gemonio sulla strada che da Varese conduce a Laveno?

Vi ho già detto della sua malia, della irresistibile attrazione che esercita sulle più diverse genti che, provenienti da ogni parte del mondo, per avventura, ne vengano a conoscere i declivi?

Sì!

È qui, infatti, che, come già altra volta narrato, ha lungamente vissuto, è morto ed è sepolto il grande scacchista peruviano Esteban Canal.

È qui ancora, e più precisamente nel borgo di Caldana, sulle colline verso Orino, che nel corso di ancor più lunghi decenni ha scritto le opere della maturità e buona parte dei propri capolavori Fausta Cialente.

Esule dal ‘suo’ Egitto, dove ha vissuto gli anni del matrimonio e che crede di avere definitivamente abbandonato (vi tornerà fugacemente restandone profondamente delusa: “Mai rivedere i luoghi nei quali si è stati felici”), nel 1947 e per qualche tempo Fausta è ospite a Cocquio della zia Alice e, forse per contrasto, subito si innamora del paesaggio e degli orizzonti che già Stendhal aveva celebrato apprezzando oltremodo la quiete, i boschi, le nebbie mattutine, la rugiada, la lontana visione dello splendido arco alpino… quanto di più differente possibile dalle lontane terre d’Africa.

Tornerà per non più ripartire nell’estate del 1956.

Albergata momentaneamente dai cugini, scopre in collina ed acquista un terreno dal quale la vista può spaziare finanche sui laghi circostanti e, in particolare, sul Maggiore.

Decide di costruirvi una casa, di creare qualcosa di inamovibile laddove sia possibile “riprendere la vita”.

Trascorre un anno ed ecco ‘Il Grillo’: così, visto il continuo concerto che penetra all’interno quando le finestre sono aperte sulla campagna, chiamerà la costruzione.

Ha all’incirca sessant’anni e pensa sia giunto il momento, in quel luogo, di ripercorrere l’intera sua vita, narrandola.

Si tratta di rivedere opere da tempo obliate, di concludere scritti abbandonati, di riproporsi, infine, come narratrice dopo il lontano successo di ‘Cortile a Cleopatra’, del 1936.

Escono l’uno dopo l’altro ‘Ballata levantina’, ‘Pamela o la bella estate’, ‘Un inverno freddissimo’ e finalmente, nel 1976, ‘Le quattro ragazze Wieselberger’ – questo il cognome della madre di Fausta e delle sue tre sorelle – che si aggiudica il premio Strega.

Spiegherà, sulle orme di Karen Blixen, che il meglio e il buono della scrittura vengono dalla ricerca e dalla fatica perché solo “qualche volta succede che si abbiano dei lampi”.

Scrivere è un mestiere e il risultato che si deve ottenere è “una scrittura ariosa e chiara che sembri nata semplicemente e invece è il frutto della pazienza”.

Morta nel 1994 in Inghilterra, riposa ora per sempre a Caldana nel cimitero nel quale quattro anni dopo, nel centesimo anno dalla nascita, la salma venne traslata.

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