Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Politica

TUTELE

ROBERTO CECCHI - 08/09/2023

pompeiSulle parole bisogna intendersi. Non so dire se la recente affermazione del ministro Sangiuliano su X (ex Twitter), la cultura è tutela delle identità (26.8.23, ore 9,31), sia uno scivolone o una presa di posizione consapevole per anticipare, magari, una svolta della nostra pratica della tutela. Sangiuliano in questi mesi è tornato spesso sul concetto di identità. Ha più volte sottolineato l’importanza di riconoscersi in questo nostro patrimonio che il mondo c’invidia. Evidentemente, sente la questione identitaria come un elemento fondante del suo mandato. D’altra parte, è vero che c’è un nesso profondo tra i simboli della cultura e il contesto sociale in cui si sono formati.

È sicuro che la cupola di Santa Maria del Fiore, per esempio, non sarebbe quello che è se Brunelleschi non avesse studiato a fondo l’architettura classica e se l’Arte della Lana, una delle più potenti corporazioni fiorentine del tempo, non avesse deciso di sposare quel suo progetto, prendendosi l’azzardo di realizzare una novità assoluta. Ma si scelse comunque di andare avanti, perché la città dei Medici, in larga parte, in quel momento, si riconosceva in quella soluzione. Dunque, quell’architettura interpreta, con estrema chiarezza e infinita suggestione, lo spirito di un particolare momento storico e per questo ne costituisce un elemento identitario. Si potrebbe dire lo stesso, ma in termini diversi, ovviamente, anche per la costruzione del Duomo di Milano, oppure per la basilica di San Marco a Venezia. Tutti episodi costruttivi che traggono la loro ragion d’essere dal contesto sociale in cui si trovano e, per questo, ne rappresentano una parte identitaria. Anche se è difficile trovare qualcosa che non sia il frutto di una volontà collettiva, più o meno ampia e più o meno condivisa. Anche l’intervento abusivo, in un certo senso, lo è.

Detto questo, preso atto cioè che c’è una relazione profonda tra cultura e identità sociale, è cosa diversa affermare che la cultura è tutela delle identità. Che vuol dire? se manca il carattere identitario non è cultura? Francamente, lascia perplessi. “Cultura” come la intendiamo noi oggi, è un concetto relativamente recente (il termine ovviamente esisteva già nel lontano passato, fin dall’epoca di Roma antica, ma si riferiva alla cura di sé, all’idea del colere, del coltivare la propria formazione), risale alla seconda metà dell’Ottocento e, cosa rara per argomenti di questa natura, ne conosciamo la data di nascita, il1871, l’anno in cui Edward Burnett Taylor, antropologo britannico, pubblica uno scritto in cui definisce cultura in questi termini “La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”. Una definizione, tra le centinaia che ne sono state date, che ha avuto una fortuna incredibile e da allora “domina le scienze sociali, compresa la sociologia contemporanea”. La ritroviamo inserita, in maniera un po’ goffa, per la verità, anche nel nostro attuale sistema di tutela, all’art. 2 del Codice Beni Culturali e del Paesaggio, dove si dice che i beni culturali, appunto, sono “testimonianze [materiali] aventi valore di civiltà”. È una sintesi della definizione data da Taylor, elaborata nel secondo dopoguerra da una commissione d’indagine parlamentare – la cosiddetta Commissione Franceschini (1964-1967) – alla quale era stato affidato il compito di fare il quadro della situazione e di proporre le modifiche necessarie.

Si tratta di un’innovazione importante, basilare, perché voleva dire staccarsi definitivamente da una tutela dei beni culturali di carattere idealistica, elitario, fatto di capolavori e basta. Cucita sull’idea d’arte e di bellezza, sempre sfuggenti e alla mercè (talvolta) di chi la spara più grossa, lasciando il resto in una sorta di limbo. Mentre ponendo l’accento sull’idea di testimonianza, sul fatto, cioè, che il più piccolo reperto possa essere considerato parte del nostro patrimonio culturale, è possibile farsi un’idea di tutela completamente diversa. Quella che effettivamente è maturata soprattutto con l’archeologia che è stata capace, più di altre discipline, di attribuire un valore fondante al più piccolo lacerto, all’apparenza insignificante. Il fascino di Pompei, per dire, è questo. Lì, non è il capolavoro a soverchiare l’attenzione del visitatore, ma i piccoli reperti di vita quotidiana, ai quali l’archeologo ha saputo dare un senso, collocandoli nel tempo e rivelandone il significato. In questo modo l’accento è stato spostato dai valori del bello e dell’arte a quelli del documento. Introducendo nel mondo dei beni culturali una visione scientifica che prima non c’era, dove è il dato a rappresentare il centro dell’attenzione e non lo schiribizzo retorico. È questo il passaggio fondamentale messo a punto intorno alla metà di quegli anni ’60, realizzando un’operazione culturale che non era mai stata tentata prima. Dimenticata e poi ripresa, a spizzichi e bocconi, una trentina d’anni più tardi.

Adesso, che l’idea di tutela dei beni culturali possa essere nuovamente legata a valori identitari, sovrasensibili, che vanno, cioè, oltre l’oggettività del dato, è un rischio che non possiamo correre. Giustamente è stato scritto che “È da questa morsa dell’identità che occorre strappare il concetto di cultura, affinché non diventi qualcosa di antropologicamente abominevole, come il concetto di razza” (Remotti 2011). Cerchiamo d’intenderci.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login