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Artemixia

BORNEO E BARASSO

LUISA NEGRI - 27/10/2023

???????????????????????????????????Ci sono siti dove s’incrociano felicemente bellezza e natura, storia e presente. Dove l’armonia si accende quasi per naturale predisposizione, e l’arte, in tutte le sue forme, trova giusta collocazione. Nelle nostre terre verdi, dalla pianura alla collina, simili realtà si confrontano spesso nell’intreccio di eventi indimenticabili.

Villa Panza di Biumo Superiore ne è un esempio superlativo. Lo è il Castello di Masnago da sempre, e da qualche anno anche la Villa dedicata da Marcello Morandini all’Arte Concreta europea e alla sua Fondazione, altro scrigno prezioso di arte.

Ma, scendendo verso il lago, non è da meno Villa San Martino di Barasso. Paese che, come annunciato dal sindaco Lorenzo Di Renzo Scolari, si appresta a divenire “paese degli artisti” attraverso l’installazione di opere nate nel territorio.

Costruita nel ’39 dall’architetto Tommaso Buzzi quale residenza estiva per la famiglia Necchi Campiglio di Milano, Villa San Martino ne fu dimora fissa e rifugio durante la guerra. Ospitò nel tempo tra le sue chiare stanze, affacciate sul lago di Varese e lo strepitoso panorama delle Prealpi, ospiti illustri o aristocratici, come alcuni membri di Casa Savoia e del Principato di Monaco. Ceduta poi ad altri proprietari, divenne, e ancora lo è, luogo di eventi ed espositivo, anche perché l’arte a Barasso non è mai mancata. Tra i protagonisti ricordiamo Vittorio Tavernari, che operò per anni nel suo grande, bianco studio affacciato sul verde; Angelo Giuseppe Bertolio, esempio di felice incontro tra geometria e colore, tra disegno e pittura; e Herman Metelerkamp (1898-1993), colto ed estroso protagonista di anni tra i più felici dell’arte contemporanea, stimato da Carrà, Fiume, Sironi, e tanti altri tra cui (affascinato e ‘invidioso’ del suo inavvicinabile verde) il ‘nostro’ Renato Guttuso, maestro di Bagherìa.

I rimandi ad altri grandi, da Klimt a Kandinskj, da Cézanne a Picasso, da Matisse a Chagall sono in molte delle opere presentate di recente proprio a Villa San Martino, dove s’è tenuta un’ottima mostra a lui dedicata: “Tra sogno e realtà di Herman Metelerkamp.” In esposizione erano lavori (da collezioni private) realizzati dagli anni Venti alla fine degli anni Ottanta.

Viaggiatore e musicista colto, venuto al mondo nel Borneo inglese, di natali indonesiani e olandesi, studi accademici in Olanda e Germania, di Barasso s’era innamorato davvero. E aveva scelto di stabilirvi la definitiva residenza e l’attività di artista, dopo il matrimonio e alcuni viaggi, divenendone uno dei più noti e illustri abitanti. Herman amava il contatto umano, frequentava i baretti del posto, dove sedeva a bere e conversare, e amava passeggiare con l’amato cocker per il paese.

A ricordarlo è lo stesso figlio dell’artista, Alessandro detto Pucci -tra gli organizzatori della mostra, a trent’anni dalla morte- presente nelle sale in qualità di testimone gentile e colto, privilegiato conteur della vita paterna. “Negli ultimi anni -spiega ai visitatori- ha realizzato, accanto ai dipinti ad olio, anche acquerelli, chine ed opere con tecnica mista, dove racconta e illustra un mondo favolistico, fantastico ed onirico, pieno di luce e poesia”.

La mostra dedicata a Metelerkamp a Villa San Martino, felice inizio dopo la pandemia, la varietà e raffinatezza delle opere presenti, e la poliedricità dell’artista spingono la voglia di poterlo reincontrare in una retrospettiva di ancora più ampie dimensioni, magari allargandosi al capoluogo varesino. Da dove forse, a parte lontane mostre, non è ancora avvenuto un più alto riconoscimento, tributatogli con rassegne e premi in molti Paesi.

Per chi ha visitato, anni fa, altri eventi d’arte a Villa San Martino, impossibile non pensare con nostalgia anche a Luigi Piatti, il “Ginetto”, amico degli artisti tutti e degli addetti ai lavori, autore di ottime pubblicazioni sulla storia dell’arte varesina, animatore di eventi, tra cui la “Barasso in arte”.

Herman, ricorda Alessandro Piatti nel catalogo della mostra, bazzicava la casa paterna. E ne ‘profittava’ per esercitarsi nella sua preziosa arte che s’allargava dai quadri al decoro delle pareti, al disegno dei tappeti e dei mobili. Perché anche questo, di arredatore, era un compito che all’estroso e raffinato artista calzava a pennello.

E scaldava il cuore di Ginetto, ogni volta che covava cogli occhi le gioiose opere e i colorati muri e arredi che l’amico arrivato da lontano aveva pensato per lui e la sua casa.

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