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Universitas

L’IO NON C’É SENZA IL TU

SERGIO BALBI - 09/06/2012

La “locked-in syndrome” è una rara condizione patologica per la quale, a causa di una lesione ischemica del tronco encefalico, il paziente presenta una paralisi muscolare completa con l’eccezione di movimenti residui minimi (una palpebra, un angolo della bocca); la coscienza, completamente conservata, è quindi chiusa (locked-in, appunto) all’interno di un corpo che deve essere assistito in tutto (respirazione, nutrizione ecc.). Nel mese di ottobre dell’anno scorso si è spento, dopo quattordici anni in questa condizione, Giampiero Steccato, un uomo coraggiosissimo che nonostante tutto ha sempre comunicato con il mondo e non ha mai perso la voglia di manifestare la propria gioia di vivere; assistito dalla moglie che con straordinaria volontà aveva messo a punto insieme a lui un alfabeto basato su movimenti residui del volto, diventando la sua voce, ha viaggiato, scritto libri e condiviso il suo esserci, comunque, in incontri pubblici e conferenze. Il 16 marzo dell’anno scorso ho assistito a una di queste presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano Bicocca, durante la quale Steccato veniva intervistato dall’attore, artista e scrittore Alessandro Bergonzoni, che da anni si impegna a divulgare il valore della vita umana e della possibilità di comunicare e farsi prossimo a questa anche in condizioni di gravissima disabilità, come la locked-in syndrome appunto, o gli stati vegetativi persistenti.

Nel presentarlo, Bergonzoni accennava al fatto che il volto di Giampiero Steccato gli ricordava in qualche modo i ritratti di Francis Bacon. Qualche anno fa a Milano era stata organizzata a Palazzo Reale una mostra sul ritratto nella storia, che aveva come elemento finale proprio l’opera di Bacon. Il percorso della mostra, nel suo fluire cronologico, “addestrava” il pubblico a fare sempre più i conti con quanto, nel volto ritratto, risuonava nel suo animo, liberandosi progressivamente dai condizionamenti della maniera o dei simboli sociali, fino a quello che definirei l’ “espressionismo radicale” di Bacon. Uno dei principali meriti dell’espressionismo, e poi di Bacon, è stato quello di mostrare come il reale porti con sé dati sensibili, obbiettivi, ma, contemporaneamente, quanto risuona dell’oggetto nell’osservatore, costituisce uno sguardo sul mondo, unico, personale, che può essere messo sulla tela senza mediazione.

In effetti, oltre a una somiglianza immediata con i volti di Bacon, l’aspetto “espressionista” del volto di Steccato emergeva con forza proprio nella sua peculiarità di necessitare della presenza dell’altro per comunicare e manifestare la sua realtà. Ecco perché accompagnare la signora Steccato nel suo dialogo con Giampiero ha chiarito a tutti come le contrazioni labiali del marito fossero parole, frasi, anima, mentre a un osservatore clinico, distaccato, avrebbero suggerito espressioni come “mioclonie” o “tic”. Ecco come si può guardare un volto, cogliere sfumature, espressioni anche ridotte al minimo, ma sempre ricche di senso.

Questo modo di guardare il volto immobile di un uomo esalta anche il fatto che ogni vita necessita della presenza dell’altro per completare il suo senso. L’io non vive senza il tu. Affido ora la conclusione e le possibili estensioni di questa riflessione alle parole, ben più meditate e ricche delle mie, di Ferdinand Ebner, esponente cristiano del pensiero dialogico tedesco che nel 1921, nei suoi “Frammenti pneumatologici” (Ed. San Paolo, a cura di Silvano Zucal) scriveva: ”È questo che determina l’essenza del linguaggio (della parola) nella sua spiritualità: che è qualcosa che si estende tra l’Io e il Tu, tra la prima e la seconda persona, come si dice nella grammatica; qualcosa che dunque da un lato presuppone il rapporto tra l’Io e il Tu e dall’altro lo stabilisce. La cosa però di gran lunga più importante e significativa (che getta anche un’ultima luce sull’essenza della parola) è proprio che nella forma di un simile rapporto trova espressione la relazione dell’uomo con Dio. Essa è la forma basilare e primordiale del modo divino di rapportarsi, modo che, proprio perché è e dev’essere “personale”, non può essere altro che il rapporto dell’Io verso il Tu. Questo Io trova il suo essere concreto nel suo rapporto con Dio; certamente non l’Io “ideale” della filosofia (…) bensì l’Io reale, che si esprime nel fatto che io esisto e posso dire questo di me stesso”.

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