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Andateci

LA CAPPELLA DELLE BEATE

SILVANO COLOMBO - 15/03/2024

cappella-delle-beateNel complesso monumentale del Santuario di Santa Maria del Monte sopra Varese si compendiano le testimonianze architettoniche che lo rendono attuale e che, individuate una per una, ne segnano la storia.

L’esordio avviene dalla sua porzione più nascosta, per l’appunto la cripta, che si deve scoprire percorrendo la via nascosta attigua al fianco destro della Fabbrica (a partire dalla facciata), per finire sotto l’altare maggiore. Il locale è suggestivo perché combina l’essenza del monte costituita dalla roccia con quella della mano degli uomini che piantarono le esili colonnine sopra le quali girano le voltine a crociera nervata, romaniche.

Si fatica a ravvisare l’impianto della chiesa romanica (secolo XII) perché il corpo longitudinale del Santuario, corrispondente alla navata centrale, è completamente artefatto dagli interventi del Cinque-Seicento. Ma se affrontate il Santuario proprio dalla sua fronte, portandovi il più vicino possibile al muro che segna il recinto claustrale, e sollevate lo sguardo verso il tetto dell’edificio, vedrete che, sopra il pronao secentesco, si avverte la facciata a capanna, con una sequenza di archetti ciechi che sono propri dello stile romanico, sottostanti alla sopraelevazione quattrocentesca. Ciò vuol dire che il Santuario conserva la porzione superiore della facciata romanica e lascia intendere che la chiesa di quei tempi fosse longitudinale, ad unica navata.

La seconda età che modifica radicalmente l’impianto originale del Santuario è quella tardo-gotica/sforzesca (1472-’76). La si considera andando sul sagrato posteriore del Santuario, dove è la statua bronzea di Paolo VI di Floriano Bodini.

Si vede un’abside che s’impianta decisamente sul sagrato, oggi segnata dalla porta del 1532, trapiantata dall’abside centrale, dove segnava l’accesso al Santuario riservato agli Sforza. Attigua gira un volume cilindrico che si innesta in uno parallelepipedo, annegato da costruzioni posteriori, che fa intendere che lì fosse impiantata l’abside centrale, e dalla parte opposta, un’altra abside, di modo che si completa un tipo trìcoro, a tre absidi, o a trifoglio. Il giro di questi volumi si avverte benissimo all’interno ed a tal punto le due visioni si compendiano.

L’intervento sforzesco determina la costruzione di due navate laterali, che corrono accanto alla centrale, a partire da dove, all’interno del Santuario, è la pila dell’acqua santa. Vi sarete forse chiesti perché essa non sta appena entrati in chiesa ma per l’appunto spostata più avanti. Perché una profonda modifica dello spazio interno del Santuario fece demolire l’avancorpo dello stesso che era composto da una specie di endo-nartece, cioè uno spazio chiuso tra l’ingresso e l’accesso alla chiesa, che doveva servire per accogliere i fedeli-pellegrini nottetempo. Quando, ai tempi del cardinale Carlo Borromeo, questo spazio venne demolito, l’entità della navata centrale si prolungò, come oggi, ma ne fu lasciato un segno in quella pila che propriamente segnava, ed oggi fa ricordare, da dove iniziasse il vero e proprio Santuario.

L’ultimo intervento architettonico di grande rilievo non è costruito ma affrescato.

Bisogna salire nella Cappella delle Beate, cui si accede appena entrati nel Santuario, per una scaletta sulla destra.

Perché le Beate, chi sono? Caterina e Giuliana, eremite e poi Romite, cioè due persone vissute nella seconda metà del Quattrocento, che hanno praticato vita di preghiera e di stenti, richiamando altre vocazioni femminili che volevano seguire il loro esempio, tanto da far erigere il Monastero che tuttora esiste, e che continua, mi piacerebbe dire, eterna, il loro esempio.

Questa storia è troppo importante per ridurla a poche parole. La leggerete altrove. Qui siamo entrati in uno spazio rettangolare, sul cui lato minore, ora di fronte a voi, s’impianta il reliquario dei corpi delle Beate, le due donne il cui culto immemorabile venne riconosciuto da Papa Clemente XIV il 16 settembre del 1769.

Ma per le Madri, Caterina e Giuliana erano già beate da tempo, tanto che questa cappella venne fatta erigere tra il 1669 ed il 1671. E ripeto: erigere perché i pittori di architetture, i varesini fratelli Grandi, sciolsero con i loro colori a fresco le muraglie del corpo di fabbrica e costruirono un vano più alto di quello che con le dita si può toccare, e dentro di esso aprirono una porzione di cielo incorniciata da una balaustrata, scorciata dal sotto in su. In questo cielo Giuliana, a destra in basso, e Caterina, poco più in alto a sinistra, poggiate su nubi sode come quelle che attraversano i nostri cieli in piena estate, che sembrano gusci di meringhe da guarnire con la panna, accolte da festanti angioletti recanti gigli candidi, segnali della loro incontaminata purezza, vengono paternamente accolte da San Giuseppe che le presenta al Bambino ed alla Vergine, coronata di stelle. A zig-zag si impianta la scena le cui figure furono animate dal pittore milanese Antonio Busca, che le affrescò nel 1671. Tipicamente barocca, anzi barocchetta, è l’esperienza visiva fatta vivere sopra la nostra testa, nell’illusione di uno spazio costruito col colore, che neanche toccando con un dito lo spigolo della parete vi farà capire dove è il vero e dove l’immaginato. Confusi da questa trasfigurazione dello spazio è conseguente il rilascio di qualsiasi forma di fisicità per salire con le Beate alla vista della Madonna. Certo: l’incontro con due Beate non è cosa di tutti i giorni. Ma, dite la verità, avete mai considerato l’importanza di avere sopra di noi, a Santa Maria del Monte, tale segno di santità? Andateci a fare questa esperienza mistica.

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